Aldo Balestra
Diritto & Rovescio

La maglietta della legalità
non va (mai) sporcata

Un fermoimmagine catturato da una telecamera utilizzata dai carabinieri nell'inchiesta alla scuola "Falcone" di Palermo
Un fermoimmagine catturato da una telecamera utilizzata dai carabinieri nell'inchiesta alla scuola "Falcone" di Palermo
Aldo Balestradi Aldo Balestra
Venerdì 21 Aprile 2023, 18:39 - Ultimo agg. 25 Aprile, 20:23
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«Preside arrestata, Maria Falcone: "Insulto a mio fratello"» (Ansa, 21.4.2023, ore 14.55)
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Ma, allora, il malaffare non finirà mai? La malapianta continuerà sempre a crescere? E anche dove si piantano fiori in territori incolti e aspri, non c'è speranza di Rinascita? E che cosa accade se proprio coloro che dovrebbero incarnare l'immagine di onestà, solidarietà e legalità vengono accusati di “remare” dall'altra parte? E se tutto questo accade a Palermo, nel difficile quartiere Zen, nell'istituto intitolato alla memoria del giudice Falcone ucciso dalla mafia, in una scuola pluripremiata e pluriattenzionata, con una preside addirittura nominata Cavaliere del Lavoro con decreto del Presidente Mattarella, c'è da essere colpiti assai. Senza furore giustizialista, sia chiaro: perché anche ad un'inchiesta di tal gravità, condita da denunce circostanziate cui hanno fatto seguito riscontri di prova pesanti come filmati e intercettazioni, farà seguito un processo. Ma, pur con tutto il garantismo possibile, è difficile esimersi da una riflessione. Amarissima.

Che è quella che porta ad occuparsi di chi, spesso per “mestiere” più che per vocazione, finisce per assurgere al ruolo di paladino/a della legalità. Senza se e senza ma. Senza limiti e senza possibilità di essere oggetto di valutazione o critica. Impegno sì, ma sempre con la crescente smania di apparire, di mostrare a tutti "come si fa", come i fortini della legalità siano inespugnabili e solidi ed abbiano bisogno di condottieri senza macchia e senza paura.  Di “eroi”, come oggi suol dirsi in un incontenibile, insopportabile, modo di esprimersi e narrare. 

Non sappiamo cosa abbia spinto la preside Lo Verde di Palermo, distintasi per la solidarietà a studenti e famiglie del disagiato quartiere Zen durante l'emergenza coronavirus, raccogliendo e distribuendo beni di prima necessità provenienti da tutta Europa, a trovarsi ora in una bufera giudiziaria di tal gravità.

E cosa ci sia, e perché, dietro l'accusa di essersi appropriata, con la complicità di altro personale scolastico, di beni come televisori, tablet, cellulari e persino cibo, come ipotizza la Procura Europea che ha ordinato ai carabinieri l'arresto della preside palermitana, in quello che viene definito sinistramente un “unitario centro di interessi illeciti”.

Fatto sta che - sarà la deformazione di una professione in cui ogni giorno si vede e si racconta tutto e il contrario di tutto - quando ci si imbatte in personaggi così sovraesposti e in tali situazioni, insieme alla giusta cornice di fiducia iniziale, continuiamo a coltivare analoghi sentimenti di cautela. E' che da sempre c'è da prendere con le molle certi “professionisti del bene”, della "legalità-a-tutti-i-costi" che talvolta - per fortuna sono casi rari, rarissimi, ma quando vengono fuori fanno male - finiscono per perdere il confine del loro stesso agire. Il confine oltre lo spirito, ovviamente. Perché lo spirito appartiene alle motivazioni personali di un impegno, il confine finisce per essere, sempre, quello della legittimità di un certo modo di agire. Ma, come ci piace (ancora) leggere sui muri delle aule dei tribunali, sperando che magari sia ogni giorno così, “la legge è uguale per tutti”. Anche per i paladini, meglio, i presunti tali, della legalità. Nessuno può sporcare una maglietta che, se indossata, deve profumare di pulito. Sempre.
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«Una sola è la verità, una sola è la giustizia e l'uomo ha il dovere di costantemente tendere, e con ogni sforzo, alla conoscenza di questa verità, all'attuazione di questa giustizia
» (Pell. Rossi)

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