Perché la sinistra vede rosso?

Opera di El Lissitzky, "Spezza i Bianchi col cuneo rosso", 1919
Opera di El Lissitzky, "Spezza i Bianchi col cuneo rosso", 1919
Lunedì 18 Giugno 2018, 12:12
5 Minuti di Lettura
Penso che una donna vestita di rosso sia meravigliosa:
è, tra la folla, la perfetta immagine dell’eroina
(Valentino Garavani, stilista italiano)


A volte il politichese si comporta come se fosse  affetto da dislessia e scrive una parola per significare un'altra. Ad esempio, verga rosso per dire sinistra. Ma perché? Non certo perché fosse quello il colore preferito di Karl Marx, come ironicamente ha insinuato il blogger americano Forrest Wickman sul magazine online Slate in Who do communists love red? Was it Marx’s favorite color? No, Wickman sa bene che non è così, sebbene l’intellettuale tedesco andasse orgoglioso d’essere definito dai giornali come il «dottore del terrore rosso».

Resta dunque l’interrogativo: una volta chiarite le ragioni per le quali parliamo di destra e di sinistra, perché - se si pensa alla sinistra - compare quel colore e non altri? Ve lo siete mai chiesto? Nell’immaginario collettivo ricorrono delle risposte, spesso vaghe e parziali, che rimontano genericamente alla storia recente. Alcune ricostruzioni - pittoriche e cinematografiche - riflettono immagini di bandiere e drappi rossi, dalla rivoluzione francese (1789) a quella bolscevica (1917) passando per il risorgimento italiano, in modo tale da lasciare netta l’impressione che quello sia da sempre il colore delle proteste e dei meno abbienti. Ma perché mai? E poi: davvero è sempre stato così?



Di certo il colore rosso si porta appresso un alone magico, probabilmente da ricondurre alla rievocazione dell’immagine del sangue, che ne ha segnato la centralità nelle vicende umane e la fortuna nel tempo. Migliaia di anni fa gli uomini, di Neanderthal prima e del Neolitico poi, seppellivano i loro morti su un letto di polvere rossa e ne cospargevano i corpi. Anche gli antichi romani utilizzavano il rosso negli arredi funebri per dipingere i sarcofagi. Mentre dall’altra parte del mondo, in Perù i popoli precolombiani coloravano di rosso i gioielli d’oro e in Messico i Maya attribuivano al colore rosso della scorza che avvolge i semi del cacao il segno della dignità divina della cioccolata, come bevanda propria degli dei. E per secoli il rosso è stato il colore dei re, degli imperatori, dei cardinali. Come pure era orlata di rosso porpora la tunica dei senatori romani.

Il medioevo è la terra di mezzo in cui compare il rosso come colore emblematico della sfida: non a caso fu il colore dei Guelfi. Secondo gli storici, durante le guerre, una bandiera rossa veniva issata sulla sommità dei castelli come inequivocabile segnale che la comunità sotto assedio non si sarebbe mai arresa se non nel sangue. In maniera analoga il drappo rosso veniva utilizzato dai pirati in seconda battuta negli assalti: prima issavano la Jolly Roger, con la caratteristica accoppiata cranio e ossa incrociate su fondo nero. Qualora poi non fosse seguita la resa ecco che sul pennone si alzava la bandiera rossa per avvertire il nemico che non ci sarebbe stata pietà. Ecco perché tutti avevano paura di quella e non della nera.



Con questo significato in epoca recente il rosso veniva utilizzato dai controrivoluzionari. Ad esempio, nel luglio 1789, davanti alle prime proteste della rivoluzione francese i soldati del re agitavano drappi rossi per intimare la dispersione delle folle. Dal canto loro, invece, i rivoluzionari presero a servirsi di drappi rossi proprio per dichiarare la propria indisponibilità alla resa. D’altronde, tracce di rosso vengono tramandate come segnali di lotta già nel tardo medioevo con gruppi di contadini e commercianti tedeschi in rivolta, come nella seconda metà del Seicento con le proteste degli artigiani bretoni e con le sommosse contadine in Russia.

Furono rosse anche le bandiere issate su alcune navi nel 1797 dai marinai britannici della Royal Navy nell’ammutinamento alla foce del Tamigi. Stessa storia con le rivolte operaie di Lione (1834), fino alla Rivoluzione del 1848 quando la bandiera rossa in Francia diventa vessillo nazionale. Pochi decenni dopo, nel 1871, sarà adottata dalla Comune di Parigi e a quel punto abbinata per sempre al socialismo.

Così si approda al tempo del bolscevismo. La percezione di quegli ideali? Eccola nel dipinto dall’eloquente titolo «Batti i bianchi con il cuneo rosso»: El Lissitzky, architetto, coreografo e pittore russo, da fervente sostenitore della rivoluzione sovietica, ideò secondo lo stile costruttivista quella tela a esemplificare l’armata rossa che sconfigge la controrivoluzione dei generali zaristi, cosiddetti "bianchi" (il perché lo analizzeremo un'altra volta).



Certo la rivoluzione bolscevica fu, insieme alla prima guerra mondiale, la miccia che appiccò in tutt’Europa il fuoco del cosidetto biennio rosso (1919-1920). La canzone "Bandiera rossa" già si canta da un pezzo e la versione socialista scritta da Carlo Tuzzi (1908) ha già conosciuto diverse modifiche nelle versioni comuniste successive alla rivoluzione russa. In Italia in particolare le classi operaie furono protagoniste di molteplici manifestazioni di protesta nelle piazze, ispirate proprio agli ideali sovietici, con le quali il movimento portava avanti rivendicazioni salariali finalizzate al controllo delle fabbriche che venivano presidiate dalle cosiddette “guardie rosse”. Si calcola che in quei due anni si siano svolti almeno 2mila scioperi. La scossa arrivò nella primavera 1919 da una delle città più industrializzate della penisola, a Torino, dove una forte agitazione operaia travolse la Fiat. La rivendicazione riguardava la richiesta avanzata ai dirigenti per postecipare di un’ora l’ingresso in fabbrica in seguito all’introduzione dell’ora legale. La richiesta fu bocciata e lo sciopero generale che scoppiò coinvolse circa 120mila operai per quello che passò nella memoria collettiva come lo “sciopero delle lancette”. Di lì a qualche mese, a giugno, un’altra imponente agitazione riguardò il corpo dei bersaglieri ad Ancona: la rivolta portò all’ammutinamento dei militari di un’intera caserma che si rifiutava di partire alla volta dell’Albania per l’occupazione voluta dal governo Giolitti. Sul finire del 1920 quasi tutte le fabbriche risultavano occupate, anche per la decisione del presidente del Consiglio di non dare seguito ad azioni di forza che avrebbero potuto peggiorare la situazione. Dunque in conclusione, al termine delle proteste, i fronti delusi saranno due: quello degli imprenditori, costretti a fermare la produzione, è quello del movimento operaio, perché le rivendicazioni resteranno in larga parte inevase. A fine anno ci saranno le amministrative che segneranno i primi passi del movimento fascista.

Anche nel resto d’Europa furono anni intensi. Pure in Germania, dove nacque la Repubblica di Weimar e dove accadde, come per tutti i movimenti ispirati agli ideali socialisti, che il rosso dilagasse. Poco più tardi quel colore cominciò a campeggiare anche nella retorica figurativa del Nazionalsocialismo: nel Mein Kampf Adolf Hitler diede precise disposizioni su come i tre colori dell’Impero tedesco (bianco, nero e appunto rosso) dovevano essere sapientemente combinati tra loro. Una svastica nera sul cerchio bianco inscritto in un vasto rettangolo rosso. Così la bandiera della Repubblica di Weimar (gialla, rossa e nera) fu bandita come fuorilegge.

corrado.castiglione@ilmattino.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA