Antonella, ferita al petto dai botti:
«Non perdono, voglio giustizia»

Antonella, ferita al petto dai botti: «Non perdono, voglio giustizia»
di Luella De Ciampis
Domenica 20 Gennaio 2019, 15:30
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Antonella Tuosto, la 36enne gravemente ferita dall'ordigno fatto scoppiare la notte di San Silvestro all'esterno della tensostruttura allestita in piazza Trieste e Trento, a Sant'Agata de' Goti, per festeggiare l'arrivo del nuov o anno, e ancora ricoverata presso il reparto di Chirurgia generale dell'ospedale «Rummo», ha finalmente superato la fase critica della degenza. Antonella adesso è in grado di respirare e di alimentarsi da sola, di camminare, seppure con l'aiuto del fidanzato, Franco Meccariello, e di raccontare la brutta avventura. Certo, ci vorrà ancora molto tempo per recuperare la totale autonomia motoria e respiratoria, ma il suo fisico ha reagito alle cure in modo decisamente sorprendente. Contestualmente, bisognerà valutare attentamente gli strascichi psicologici, lasciati dall'increscioso episodio per il quale è finito agli arresti domiciliari l'appuntato dei carabinieri Angelo Iannotta, 46 anni, accusato di aver fatto esplodere il botto.

Quali sono i ricordi di quella notte?
«Mentre stavo ballando, ho accusato un dolore fortissimo al petto, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse e intanto dalla mia bocca non uscivano parole. Avrei voluto urlare il mio dolore, ma sono riuscita a comunicare con Franco, solo spingendolo, per fargli capire che stavo male, poi mi sono accasciata tra le sue braccia. Da quel momento, mi sono abbandonata a un dolore lancinante e alla paura di morire. Nelle ore immediatamente successive, la morte l'ho sentita addosso, perché ero lucida e consapevole di cosa mi stesse accadendo e ho avuto la netta sensazione che qualcosa di indefinito stesse per fuggire via dal mio corpo. Dicevo, sto morendo».
 
Subito dopo cosa è accaduto?
«Ricordo tutto, come in un film. L'ambulanza della Protezione civile, che era davanti alla tensostruttura, è intervenuta immediatamente. Sono stata trasportata al pronto soccorso dell'ospedale di Sant'Agata de' Goti, dove ho ricevuto le prime cure che mi hanno consentito di essere trasferita al Rummo. Sono trascorse in tutto circa quattro ore, nel corso delle quali la mia paura di morire continuava ad aumentare. Poi più nulla, il buio totale per tutto il tempo in cui, dopo l'intervento chirurgico, sono stata in coma farmacologico.

Cosa è accaduto al risveglio?
«Il risveglio dal coma indotto è stato traumatico, perché, per circa tre giorni, quelli in cui i medici hanno ridotto la sedazione, ho avuto una percezione falsata della realtà, non ricordavo cosa fosse accaduto. Rispondevo alle domande che mi venivano poste in modo inadeguato e non riuscivo a mettere a fuoco e a collegare gli avvenimenti e le persone che erano accanto a me. Poi la nebbia si è dileguata all'improvviso e ho cominciato a ricomporre il puzzle».

Che cosa ha lasciato questa esperienza?
«Sicuramente una maggiore considerazione per la vita, che credo appartenga a tutti coloro che hanno avuto modo di guardare la morte in faccia, oltre a una gran voglia di riappropriarmi della normalità e di ritornare a casa, a fare quelle cose assolutamente normali. Sono molto debole e ancora non riesco a camminare da sola, ma, accompagnata, ho cominciato a passeggiare nel corridoio del reparto. Certo i progressi già si vedono perché, nei giorni scorsi, riuscivo a mala pena ad alzarmi dal letto e a fare pochi passi, abbracciata a Franco. Non mi sento male, anche se ho sempre tanta voglia di dormire, le ferite sono quasi rimarginate, tanto che, molti punti sono stati già tolti».

Dunque, le ferite fisiche si sono quasi del tutto rimarginate, ma quelle inflitte all'anima?
«Per quelle non so ancora cosa accadrà e non credo che esista una medicina miracolosa in grado di curarle. Adesso, ho paura di addormentarmi, perché temo di non svegliarmi più e credo che la notte di San Silvestro la trascorrerò sempre a casa. Per quanto riguarda l'aspetto terapeutico, saranno i medici a valutare nei prossimi giorni se ci sarà necessità di un supporto psicologico, che mi aiuti a superare lo choc».

Che opinione si è fatta su chi ha fatto esplodere l'ordigno?
«Credo che sia stata un'azione inqualificabile, che sfugge alla mia comprensione. Non riesco a capire come, un uomo avvezzo alle armi, non abbia messo in conto la pericolosità del gesto che stava compiendo e spero che si faccia chiarezza sull'accaduto. Per ora non riesco a perdonare, perché ho rischiato di morire, ma voglio giustizia e non vendetta».

Quali sono i progetti futuri?
«Nel futuro c'è il desiderio di tornare a casa, di riappropriarmi della quotidianità, fatta di cose semplici, che assumono un'importanza prioritaria, se all'improvviso ci vengono a mancare. Respirare, godere di una giornata di sole, camminare e riprendere i progetti lasciati incompiuti. È questo il futuro».
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