Acqua su Marte, Orosei: «Dobbiamo studiare ancora il 90 per cento del Polo Sud del Pianeta Rosso»

Roberto Orosei dell'Inaf
Roberto Orosei dell'Inaf
di Enzo Vitale
Venerdì 27 Luglio 2018, 09:08 - Ultimo agg. 30 Luglio, 19:21
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Stavolta gli americani si son dovuti arrendere all’estro e alla genialità targata Italia. «A dire il vero - commenta Roberto Orosei, principal investigator dell’esperimento Marsis - da un punto di vista cronologico, la scoperta l’avevano fatta proprio loro. Poi era stata archiviata. A rimettere in moto lo studio ci ha pensato la tenacia di Giovanni Picardi, lo scienziato italiano morto nel 2015, punto di riferimento per tutti i radar dell’Agenzia Spaziale Italiana».

Italia batte Usa uno a zero, allora?
«Sì, diciamo di sì. Se non fosse stato per lui, la scoperta del lago salato sotto la calotta meridionale del Pianeta Rosso, forse non l’avremmo mai fatta».

Il 50enne astrofisico Inaf dell’Università di Bologna entra nei dettagli: «Dopo che gli americani avevano chiuso il caso e nonostante lo scetticismo di molti di noi, le idee di Picardi hanno prevalso su tutte».

CURRICULUM STELLARE
ll curriculum di Roberto Orosei è pieno zeppo come un nuovo. Le sue collaborazioni con le Agenzie spaziali di tutto il mondo sono a 360 gradi: dalle missioni della Nasa verso i pianeti e i satelliti del Sistema Solare a quelle più "nostrane" con l'europea Esa.
Ricercatore presso l’Istituto di Radioastronomia di Medicina dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e professore a contratto all’Università di Bologna, a 50 anni suonati il prof ne ha già viste di tutti i colori.
A leggere tra le righe delle sue esperienze emerge la sua particolare predilizione nei confronti del Pianeta Rosso. E', infatti, il principal investigator, come si dice in gergo astronomico, del radar italo-americano MARSIS, quello che viaggia a bordo di Mars Express, la sonda madre in cui è ospitato.

Professor Orosei allora ci racconti un po' qualche particolare della scoperta...
«Partendo dal presupposto che Marte è un pianeta aridissimo, la scoperta di un lago di acqua sotto la calotta ghiacciata del Polo Sud è davvero un evento che apre orizzonti incredibili e inimmaginabili».

Si tratta di una scoperta recente o è stato il frutto di un lavoro lungo e complesso?
«Diciamo che la seconda cosa che ha detto si avvicina più alla realtà».

Ci spiega il perchè?
«Ebbene si tratta di uno studio iniziato nel 2007 e a dire il vero i primi ad accorgersi degli "echi brillanti", così come li chiamiamo noi, sono stati  proprio gli americani. Ma loro hanno subito chiuso il caso, non si sono accorti che questi riscontri, in realtà, nascondevano il fatto che a un chilometro e mezzo sotto la calotta polare non c'era ghiaccio, ma  acqua: acqua  allo stato liquido».

Quindi dopo l'iniziale scoperta il caso era stato chiuso?
«Sì, esatto, è stato proprio così. A dare continuità a questa linea di studio è stato il professor Giovanni Picardi. Ha avuto il merito di non archiviare la questione ed è andato avanti nonostante lo scetticismo degli americani e, ahimè, anche del mio».

E poi cosa è accaduto?
«E accaduto che il professor Picardi è morto e lo studio si è impantanato un’altra volta. Così ci siamo fermati per un lungo periodo».

Quindi avete tralasciato dati che già avevate elaborato?
«Nel 2011 abbiamo analizzato altro materiale. Si trattava di nuovi dati elaborati direttamente da noi sulla Terra e non dallo strumento in orbita. Avevamo cambiato il software ma ciò ha comportato meno dati su cui lavorare e molto più tempo per analizzarlo».

Cambiato addirittura il software?
«Esatto, mentre tutti noi eravamo impegnati in discussioni di cui ora mi pento, l'altra incredibile intuizione si deve ad un ingegnere: Andrea Cicchetti. Anche lui ha giocato un ruolo chiave».

Chi è?
«E' la persona che fisicamente dà i comandi allo strumento Marsis. E' lui il primo che osserva i dati che arrivano dallo strumento stesso. Per diverso tempo ci ha prospettato un'altra interpretazione dei dati, mai noi non ce lo siamo filato. Eravamo troppo impegnati a pensare ad altre cose e non abbiamo dato peso alle sue intuizioni».

E allora cosa vi ha fatto cambiare idea?
«Il fatto che potevamo elaborare i dati grezzi in un altro modo, cioè facendolo direttamente noi al posto della macchina. Oltretutto i dati che ci fornisce la sonda Mars Express sono molto particolari e vengono presi in diversi punti del pianeta».

Perché?
«L’orbita di Mars Express è molto particolare, non torna mai sullo stesso punto del pianeta e se ci torna lo fa dopo molto tempo. Basti dire che dal 2012 al 2015 abbiamo potuto studiare solo i dati di 30 passaggi».

Senta professore, ma possiamo considerare Marte come una Terra invecchiata precocemente?
«Sì. Andando molto indietro nel tempo,  diciamo 3,5 miliardi di anni fa, probabilmente su Marte c'erano il clima ideale e il potenziale habitat per l'esistenza di batteri. Poi cosa è accaduto e perchè il pianeta sia diventato così ancora non lo sappiamo».

Nuove ipotesi?
«Certo la scoperta del lago sotto la calotta del Polo Sud apre scenari che pensavamo tramontati. Come l'esistenza nel sottosuolo, ad esempio, di sorgenti idrotermali o di altre attività simili. Se scopriremo altri giacimenti come questo allora  dovremo rivedere molte delle certezze fin qui acquisite. DI sicuro possiamo dire che l'acqua si mantiene allo stato liquido grazie alla presenza del sale, molto sale».

Cosa vi aspettate per l’immediato futuro?
«Consideri che per adesso  abbiamo scandagliato solo una piccola parte della calotta Antartica marziana, dobbiamo studiare l’altro 90 per cento. Non ci aspettiamo certo i pinguini verdi, ma chissà cosa altro potrà venir fuori».


enzo.vitale@ilmessaggero.it


 
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