La protesta di Wikipedia
non tutela l’informazione

di Generoso Picone
Mercoledì 4 Luglio 2018, 08:17
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Bisognerebbe avere la capacità di schiodare la questione dai toni estremi nei quali è stata posta. Certo, l’oscuramento decretato ai propri frequentatissimi siti da parte di Wikipedia Italia e in segno di protesta contro la direttiva di tutela del copyright all’ordine del giorno del Parlamento europeo delinea il profilo di una sorta di battaglia di religione: «Libertà di internet a rischio», il grido che è stato fatto rimbalzare nella rete, in nome di una mobilitazione per «diffondere e difendere la conoscenza libera e preservare il web come spazio aperto anche per le realtà con meno visibilità». 

L’oggetto in così aspra discussione è il documento – che a Bruxelles dovrebbe essere varato giovedì 5 luglio e fino a quel giorno durerà il black out della più grande enciclopedia on line gratuita – accusato di impedire lo sviluppo “di nuovi servizi digitali aggiungendo nuovi vincoli ed è dunque contro lo spirito del copyright che dovrebbe proteggere la creatività”. Insomma, dovesse essere approvata la direttiva europea, verrebbe messo «un vero e proprio bavaglio alla libertà della Rete».

Ma è proprio così? Evitando le maiuscole metafisiche che finiscono per dare appunto la sensazione della guerra santa da combattere in nome del dio progresso, occorrerebbe fermarsi e riflettere almeno per un secondo. Non soltanto per registrare la risposta del Parlamento europeo che ha assicurato l’esclusione automatica dal provvedimento delle enciclopedie online anche con l’utilizzo di contenuti di parti terze come foto: anche e soprattutto per tentare di individuare quale sia la vera posta in gioco alla vigilia estrema di un voto, sancendo per l’ennesima volta il ritardo con cui le forze politiche riescono a comprendere l’entità e il valore dei fenomeni in atto – in Italia la materia del diritto d’autore ha una regolazione datata 1941 - , in una visione eufemisticamente miope che pare ricalcare la disattenzione con cui nel 1922 venne accolto un testo – questo sì – sacro per comprendere le strategie comunicative in una società democratica, e cioè “L’opinione pubblica” di Walter Lippmann. Fatto è che la Storia resta piena di profeti inascoltati.

Oggi, la direttiva Ue sul copyright si propone di armonizzare il quadro normativo comunitario del diritto d’autore nell’ambito delle tecnologie digitali e in particolare di internet. Intende intervenire in una sorta di far west dove ognuno può diventare padrone senza che nessuno frapponga norma o veto sui contenuti consegnati al web: se l’enciclopedia Wikipedia è diventata la bandiera di questa stramba libertà in rete, se appare il paradigma di una approssimativa idea di democrazia digitale, se il concorrere a comporre una voce che – si può dire? Purtroppo – diventa il distillato del sapere e della conoscenza prêt-à-porter, pronta per l’uso ma senza il minimo requisito di veridicità, se questo strumento di consultazione simbolo della società di massa alla Gustav Le Bon può essere considerato il punto discutibile, controverso e comunque alto di un sistema in progressivo movimento, nelle fasce immediatamente sottostanti l’utilizzo di internet si declina in forme che alimenterebbero bene il concetto di alienazione spiegato da Max Weber nel suo “Il lavoro intellettuale come professione”. Uno studioso che non è proprietario della sua biblioteca è simile a un lavoratore che non è proprietario dei suoi mezzi di produzione, scriveva nel 1918 e, a voler essere ancora più crudi, concreti e reali, finora il lavoratore intellettuale prestato al web - dal giornalista dei siti on line all’autore di racconti, saggi o scritture varie poste in rete – appare alienato e pure defraudato della propria prestazione creativa. Avviato a una pratica di condivisione comunitaria, si ritrova più o meno nella condizione di chi è derubato del proprio prodotto: di una fatica e di tutto quanto c’è dietro, di un lavoro che ha perso la sua dignità perché non ha una tutela giuridica forte ed efficace.

Bisognerebbe misurarsi con la complessità di urgenze come queste, senza imbancare schieramenti contrapposti e inalberare vessilli di una postmodernità paradossale e di aneliti verso magnifiche sorti e progressive alla cui citazione Giacomo Leopardi si rivolterebbe nella tomba. Occorrerebbe considerare che la deterritorializzazione tipica della rete non conduce automaticamente alla libertà piena e conclamata, a uno scenario dove il lavoro intellettuale assume i connotati di quello della celebre cuoca di Lenin, tutti possono diventare tutto, governanti del Soviet o opinionisti di stagione, e si chiude lì la faccenda. Servirebbe ricordare che il cuore della tecnica non è mai tecnico, che nella lezione di Martin Heidegger la tecnica non è un semplice mezzo bensì uno svelamento, che la sua essenza è nel rivelare ciò che non si produce da se stesso. I contenuti della rete non sono autogeni, chi li produce deve essere protetto da uno statuto al quale obbligato a rispondere. Per il diritto d’autore che diventa per un dovere di democrazia trasparente. 
 
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