Bertotto gioca Avellino-Giugliano: «Al Partenio a viso aperto»

La sfida all'ex compagno Pazienza

Bertotto nell'Udinese
Bertotto nell'Udinese
di Marco Festa
Giovedì 16 Novembre 2023, 08:35 - Ultimo agg. 12:00
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«Riabbraccerò con grande piacere Michele prima della partita e spero di farlo anche dopo. Il mio Giugliano non deve temere nessuno e ad Avellino verrà a giocarsela a viso aperto». Da capitano in campo ad avversario in panchina: Valerio Bertotto ritrova Michele Pazienza, suo ex compagno di squadra ai tempi dell'Udinese. Al "Partenio-Lombardi" (domenica, calcio d'inizio alle 16:15) non sarà, però, tempo di amarcord.

Bertotto, con lei il Giugliano ha cambiato marcia. Siete reduci dal 2-2 in trasferta contro il Benevento che vi ha restituito nuove consapevolezze: quali?
«La capacità dei ragazzi di esprimere l'idea di calcio che stiamo portando avanti; che ha nella ricerca della qualità, nell'organizzazione e nella volontà di determinare il corso delle partite le sue prerogative.

Alleno il Giugliano da una quarantina di giorni e ho subito capito che questi ragazzi volevano tornare a essere artefici del proprio destino, lottare e non rassegnarsi a disputare un campionato mediocre. Ci siamo sintonizzati subito sulla stessa lunghezza d'onda. La partita a Benevento è un primo emblema del nostro percorso insieme. Una prestazione importante contro una delle candidate alla vittoria del campionato. Avremmo meritato di vincere».

Quindi, ad Avellino senza paura?
«Paura è un termine bandito per tutti, per me e i miei giocatori. Speculare non fa parte della mio modo di intendere il calcio. Il pullman davanti alla porta è inutile parcheggiarlo: a che serve se alla fine prendi un gol e perdi?».

Una convinzione corroborata da un'osservazione attenta e ravvicinata, giusto?
«Ho assistito dal vivo ad Avellino-Potenza. L'impronta di Pazienza è evidente. Oltre al collettivo ci sono individualità importanti come Sgarbi, che è un colpo alla Perinetti. Detto ciò, ripeto: non partiamo battuti».

A tal proposito, per lei sarà il terzo derby campano. Ha vinto 1-0 a Torre del Greco prime del 2-2 a Benevento. È un caso o il suo è un Giugliano formato derby?
«Le motivazioni contano, ma non devono mai mancare: derby o non derby. Dobbiamo restare concentrati su noi stessi. Conta solo correggere le nostre imprecisioni».

A pochi metri da lei, che è stato un grande difensore, ci sarà chi in genere era abituato a trovarsi davanti: che ricordo ha dell'allora ventunenne Michele Pazienza?
«Quello di un ragazzo serio, che non per caso ha fatto carriera. Mai sopra le righe, Michele si è sempre comportato in maniera egregia. Queste virtù umane, la sua umiltà, sono rimaste intatte e lo stanno premiando ancora: basta vedere quello che sta facendo in una piazza storica qual è Avellino. Michele ha preservato quella sua capacità innata di stare sul pezzo. A Udine fu catapultato in una realtà consolidata, di alto livello, diventata col tempo internazionale, ma capì che lavorando duramente sarebbe riuscito a emergere. E così è stato».

Il 24 settembre 2003 in Austria Salisburgo-Udinese lei era con la fascia al braccio quando Pazienza debuttò nell'allora Coppa Uefa. In panchina c'era un certo Luciano Spalletti: cosa pensa abbia lasciato a lei e a Pazienza?
«Probabilmente la cura maniacale dei dettagli. Abbiamo avuto il piacere e l'onore di imparare tanto da Spalletti sia sotto il profilo tattico sia umano. Con lui ci siamo qualificati in Champions League. Non può che essere uno dei modelli di riferimento. Tutti i mister che hai ti lasciano qualcosa e Spalletti, chiaramente, non fa eccezione. Anzi».

Ad Avellino non sfiderà solo Pazienza. Cosa ha rappresentato per lei Giorgio Perinetti?
«Uno dei più grandi direttori che ho avuto. Mi volle al Siena. Un rapporto bellissimo. Il connubio Perinetti-Pazienza per l'Avellino può fare la differenza a lungo termine».

Nel breve termine, invece, c'è il suo Giugliano. Come l'hanno convinta a rimettersi in gioco?
«Sono stato fermo tre anni. Ogni giorno mi domandavo come fosse possibile. Senza presunzione, so di cosa parlo, il calcio è stato ed è la mia vita, ma alle volte ci sono dinamiche folli. Ho rifiutato proposte che ho ritenuto sarebbero stati svalutanti. Puntavo ad allenare all'estero e spero di farlo un giorno, ma a Giugliano ho capito che avrei trovato la realtà giusta. Con il direttore Amodio, il presidente Mazzamauro e la sua famiglia, persone di un raro spessore morale e umano, si è creata un'empatia istantanea. Giugliano è il progetto che cercavo».

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