Addio a Biscardi, il dissacrante Processo al calcio tra moviolone e sgub

Addio a Biscardi, il dissacrante Processo al calcio tra moviolone e sgub
di Mimmo Carratelli
Lunedì 9 Ottobre 2017, 10:46 - Ultimo agg. 12:47
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Al tempo in cui le polemiche fioccano come nespole e nel caos dello studio televisivo invitava a parlare due, tre alla volta, altrimenti non si capisce niente, Aldone Biscardi, al massimo della gloria del calcio parlato, è stato il personaggio più popolare d'Italia, inventore de Il processo del lunedì che ha tenuto udienze ad altissimo ascolto televisivo per trentatre anni e ha avuto più imitazioni della Settimana enigmistica come si vantava il suo stesso creatore e giudice super partes.

Aldo Biscardi, molisano di Larino, è morto ieri al Policlinico Gemelli di Roma. Avrebbe compiuto 87 anni fra un mese. Lascia il ricordo di una trasmissione televisiva tanto trash quanto di successo, un talk-show calcistico fuori da tutti gli schemi tradizionali e codificati, un autentico bar sport molto frequentato e ambito in cui il giudice super partes di grossa presenza, capelli rossi e piede 43 aveva la luciferina capacità di scatenare scontri, diverbi e risse con la solennità di un re Salomone al rovescio.

In qualche modo Il processo del lunedì, variamente giudicato, insultato ma seguitissimo, è stato il Grande Fratello del calcio, un quarto di secolo prima del reality show di Canale 5. Una felice intuizione che ha preceduto tutte le risse televisive successive. Davanti alle telecamere di RaiTre, Biscardi ha sollecitato ed esasperato il campanilismo calcistico fino a creare una autentica compagnia di giro con i giornalisti sportivi di più sfegatata appartenenza, pronti al litigio e all'insulto.

Si può dire che da quella prima puntata del 9 settembre 1980, alle 20,45 su RaiTre, l'Italia dei 56 milioni di commissari tecnici, ma anche i telespettatori più sensibili alla vita in diretta del pallone e, in genere, tutti i voyeur del piccolo schermo, si sono mobilitati per lo show inventato da Biscardi, condotto nei primi tre anni da Enrico Ameri e poi da Marino Bartoletti, infine preso in pugno dal Rosso Volante che, troneggiando nel più atteso studio televisivo notturno, gli assestava l'impronta più spigliata, urlata e coinvolgente, il marchio di fabbrica e sfabbrica della disinvoltura senza limiti di un giornalista geniale nel fiutare, prima di tutti, dove la televisione andava a parare.
 

 

Aldo aveva cominciato a scrivere per La Gazzetta dello sport da Larino quando il fratello Luigi, trasferitosi a Roma, gli aveva lasciato il testimone di quella corrispondenza. Era poi venuto a Napoli per laurearsi in giurisprudenza con Giovanni Leone ed era capitato nella redazione napoletana di Paese sera raggiungendo successivamente la redazione romana di quel quotidiano per diventare il capo delle rubrica sportiva fino ad allora retta da Antonio Ghirelli.

Sul giornale romano lanciò a tutta pagina Il processo al campionato, rubrica di grande successo, in pratica l'antenato cartaceo del processo televisivo. Fu Biagio Agnes ad attrarlo in Rai comunicandogli che gli avrebbe affidato la direzione dello sport del Tg1. Si racconta che Tito Stagno, che ne era il responsabile dei servizi sportivi, in quei giorni urlasse: «Se Biscardi mi leva il posto, io chiamo i carabinieri e non mi muovo dalla scrivania». Agnes, allora, dirottò Biscardi al Tg3.

Su Paese sera, il rosso molisano aveva portato a termine un paio di notevoli servizi tra i quali una intervista a Kruscev realizzata a Mosca. Era il 1956. Kruscev, durante l'intervista, gli offrì un panino con prosciutto. Biscardi, personalizzando quel suo primo sgub titolò: «Ho brindato con Nikita Kruscev nei giardini del Cremlino». Il dado del protagonismo era tratto.

Approdato in televisione, Biscardi ha sempre raccontato di non avere voluto mai seguire un corso di dizione. «Sono contrario a una certa omologazione» diceva. Fu la sua fortuna perché, a parte il talento giornalistico sostenuto da una sfacciata impudenza, il suo linguaggio originale non è stato estraneo al successo televisivo. Un po' io non conosco bene l'italiano, confessava, e un po' ci marcio. E così nacque deng you che fu il suo personalissimo thank you in uno spot pubblicitario in cui doveva ringraziare la casa editrice Fabbri per una pubblicazione in inglese.
 

Non si contano le serate straordinarie del Processo perché Aldone inventava là per là oltrepassando vincoli sintattici e ostacoli d'ogni genere. Genuino e pronto all'esagerazione. Come la sera in cui era molto in voga la caccia a Bin Laden e lui, da perfetto sacerdote vindice, perorò magistralmente la causa dal suo tempio televisivo: «A nome di tutta l'umanità chiediamo che venga catturato, magari anche durante il Processo, quell'assassino di Bin Laden».

Memorabile il dissidio con Boniperti, presidente della Juventus. Sergio Zavoli, presidente della Rai, lo chiamò per dirgli: «Biscardi caro, non puoi immaginare quanti guai passo col tuo Processo. Un giorno si e uno no, qualcuno mi chiede il tuo licenziamento. Tra questi il presidente della Juventus Boniperti». Biscardi aveva messo in dubbio lo scudetto juventino del 1981 e Boniperti per sette anni vietò ai suoi giocatori di partecipare al Processo. Un giorno, però, lo chiamò: «Aldo, ti do una bella notizia. Tra mezz'ora mi dimetto da presidente della Juve». Biscardi ne fece uno dei suoi sgub, il primo a rivelare la decisione di Boniperti.

La popolarità gli consentiva di raggiungere i personaggi più importanti come la volta in cui organizzò una diretta con Sandro Pertini. Il presidente era in vacanza a Selva di Val Gardena. Fu una serata drammatica. Pertini doveva parlare stando seduto accanto a un caminetto. Si ribellò: «I vecchietti stanno vicino al camino». Fu necessario preparare il set all'aperto con ventidue gradi sotto zero e Pertini apparve in una voluminosa pelliccia e con la sciarpa al collo. Per giunta, a causa del freddo una telecamera scoppiò. Venne riparata in sei minuti. Pertini rimase all'addiaccio e in collegamento col Processo per due ore e mezza.

La grande novità di Biscardi fu il moviolone. Se la moviola di Carlo Sassi rallentava le azioni per pescare l'errore dell'arbitro, il moviolone di Biscardi fissava i particolari del gioco ingrandendo le immagini. Aldo sfruttò per il calcio l'invenzione di un israelita di New York, la super-moviola che aveva scoperto l'ammiccamento di Bill Clinton a Monica Lewinski rivelandone la relazione.

Ebbe ospiti illustri al Processo, da Carmelo Bene che invitò dopo avere saputo che era un grande tifoso juventino, a Vittorio Sgarbi che al Processo poté affinare la sua oratoria violenta, a Costantino Rozzi indimenticabile presidente dell'Ascoli che al Processo divenne un personaggio. Silvio Berlusconi, irrompendo telefonicamente in diretta, lo definì nipotino di Stalin all'epoca di Telekabul. Gianni Agnelli lo invitò a cena al ristorante torinese Le chaval de bronze e poi lo ospitò nel suo studio al Lingotto per farsi raccontare i retroscena del Processo. Inventò le bombe di Maurizio Mosca e il suo famoso pendolino per predire i risultati delle partite.

Aldo Biscardi non usò mai la sua popolarità per essere arrogante ed egocentrico.
In tutto e per tutto, fu per noi un collega affettuoso. E, onestamente, dopo di lui è andata peggio nelle tv del calcio.

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