Fiorello: «Tra qualche mese compirò 58 anni. L’età di mio padre quando morì»

Fiorello: «Tra qualche mese compirò 58 anni. L’età di mio padre quando morì»
Martedì 21 Novembre 2017, 16:50 - Ultimo agg. 17:14
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«Mi diverto come un pazzo… Cerco di far capire che l’età non conta. Che se hai delle idee, anche a 50 anni, come faceva Arbore, puoi incontrare il pubblico più giovane di te. Facebook apre una strada, vediamo dove porterà».
Così a Vanity Fair, che gli dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 22 novembre, Rosario Fiorello, il più grande showman italiano, racconta la sua nuova avventura, Il Socialista, programma radio che conduce ogni giorno alle 13 sulla sua pagina Facebook – http://www.facebook.com/Fiorello.Official – e che il mattino dopo va in onda in versione ridotta su Radio Deejay, dove 27 anni fa iniziò la sua carriera.

Carriera che ripercorre nell’intervista, per parlare anche del suo carattere, del suo passato, del suo futuro e di un tema di scottante attualità.
Biografia. Gli anni del Villaggio. «A metà degli anni ‘70, gli amici parlavano del villaggio con toni mitologici. “Non è un albergo, ci sono le capanne, non c’è il direttore, ma ‘u capovillaggio e la sera ballano tutti nudi, scalzi, con i parei, le tette di fuori, la marijuana libera. Hai presente Vuudstocche?”. Alla fine fui assunto. Dopo aver venduto le verdure in mezzo alla via, aver fatto il muratore, il meccanico e anche il telefonista in una ditta di pompe funebri, il villaggio era un bel salto. Quelli che mi vogliono denigrare dicono “viene dai villaggi”. Ma io so che se non ci fosse stato il prima, non ci sarebbe stato neanche il dopo. Il villaggio è stata la mia scuola».

Il futuro. È possibile persino non vederla più in Tv? «È possibile che non la faccia mai più, sì. Per me l’importante è fare spettacolo. Con una o con tremila persone, è uguale. Accadrà finché vivrò perché sono riuscito a smettere di fumare, ma non riesco a smettere di pensare al mio mestiere. La Tv è un’altra cosa. È il meno veritiero dei mezzi con cui mi esprimo. Il più irreggimentato. È vero che sono pigro, che mi piace stare a casa con le mie figlie e con Susanna, che il mio divano è la mia Arca e che quando faccio qualcosa di importante, per un effetto psicosomatico, vorrei regolarmente ammalarmi. Ma è vero anche che per adesso non ne ho più voglia. Non ho più voglia di stupire, mi sono stufato dell’ansia da prestazione, delle riunioni infinite, della liturgia».

Il caso Weinstein. «Sono solidale con le ragazze che l’hanno detto subito e anche con quelle che hanno reso pubbliche le molestie dopo venti o trent’anni, il ritardo non conta. Però oltre a quello di chi usa il proprio potere per ottenere del sesso, c’è un altro aspetto che non ho mai letto su nessun giornale. Sa qual è? Che non solo esistono le consenzienti che non si fanno né vedere né sentire, ma neanche uno straccio di produttore che abbia detto “Ci sono ragazze che tendono vere e proprie imboscate” e che una volta saputo che in un certo luogo ci sarà quel produttore vanno da lui e dicono “vengo a letto con te se mi dai la parte”. Ci sono quelle che hanno fatto carriera così e ci sono, come in Bellissima di Visconti, le madri che ai produttori hanno portato direttamente in dote le loro figlie. Tutte sante? Non credo. Non vorrei essere tacciato di misoginia. Bisogna dire che ci sono i porci e però, per essere giusti, equi e realisti, è necessario dire che ci sono anche quelle che si sono concesse per scelta. Se aspettiamo un po’, le donne che diranno “l’ho fatto con gioia” arriveranno. Ne sono sicuro».

Il carattere di Fiore. «Sì, sono permaloso e rancoroso e faccio molta fatica ad accettare le critiche. Sono fatto così: ti posso piacere o meno, tu sei libero di dire ciò che vuoi, io di non fare più un varietà. Poi i tempi sono cambiati e non è detto che ciò che andava bene ieri vada bene anche oggi. Vedo gente che con il 22 per cento di share stappa lo champagne. Noi arrivammo al 63. Quanto dovrei fare ora per non deludere le aspettative?». L’età. «Tra qualche mese compirò 58 anni. L’età che aveva mio padre quando morì. Ci penso, con ansia sottile e malcelata scaramanzia, quasi ogni giorno».

I grandi dolori. «Ero a Sanremo per il Festival del 1990 e verso le 11 di sera telefonai a casa per salutare i miei genitori.
Avevo la mania di avvisarli, di fargli sapere sempre dove fossi. Alla fine trovai un parente. “Rosà- mi disse- tuo padre si è sentito male”. “È morto, vero?” risposi. Ballava con mia madre, disse “ho dimenticato le sigarette, vado a prenderle”, lo trovarono nel parcheggio, vicino alla macchina, alla festa di Carnevale. Fu una botta spaventosa. Raggiunsi il villaggio Valtur di Pila, in Val D’Aosta, per parlare con mio fratello. Aprì la porta della sua stanza alle 6 del mattino: “Da adesso dobbiamo fare da soli, Beppe. Papà non c’è più”». Il domani. «Un tempo le persone mi chiedevano gli autografi e dicevano: “È per me”. Poi siamo passati alle madri, alle zie e alle nonne. Quando arriveremo alle bisnonne capirò che è finita». Avevo detto che mi sarei ritirato a 60 anni, ma ci riuscirò? Non vorrei fare come i Pooh che sono stati recentemente premiati per il seicentesimo addio annunciato in carriera». Programmi? «Vorrei invecchiare, ma purtroppo non ci riesco».
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