«Le memorie di Ivan Karamazov», Umberto Orsini torna a Napoli

Il decano del teatro al Mercadante «Dopo 55 anni riprendo il personaggio dello sceneggiato tv del 1969»

Umberto Orsini
Umberto Orsini
di Luciano Giannini
Martedì 30 Aprile 2024, 07:00
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Lezione di teatro per attori, registi e affini: «Questo è il mio primo monologo; 70 minuti di parole e memoria, senza microfono, nemico del teatro, a meno che non si tratti di una lettura. La voce, amplificata artificialmente, allontana dall’azione, che è vita sul palcoscenico e non può passare attraverso un oggetto che gliela sottrae». Illustre decano della scena, 90 anni compiuti il 2 aprile, dopo «I ragazzi irresistibili» di Neil Simon al Diana, Umberto Orsini torna a Napoli per proporre, tra stasera e domenica al Mercadante, «Le memorie di Ivan Karamazov», drammaturgia tratta da «I fratelli Karamazov» di Dostoevskij, scritta con Luca Micheletti, che firma la regia. 

Ivan è il personaggio più sfuggente del romanzo, tormentato e cerebrale, ateo per reazione alle ingiustizie che Dio consente, votato al suicidio ma innamorato della vita, vinto dalla colpa di considerarsi mandante di parricidio.

Eppure, al suo posto, in tribunale è condannato il fratello Dmitrij. Orsini incontrò Ivan nel 1969. Nello sceneggiato Rai di Sandro Bolchi, gli donò quell’aspetto - capelli quasi albini, occhialini da intellettuale - entrato nell’immaginario di più generazioni. E lo ha tenuto con sé per decenni, evocandolo nel 2013, a teatro, in «La leggenda del grande inquisitore». Ora, eccolo di nuovo, Ivan, l’unico personaggio di cui non si narra la fine. L’autore lo abbandona a febbri cerebrali e a visioni demoniache. L’attore lo riprende, sottraendolo al non-luogo spettrale del rimorso, in cui vagava, immaginandone un approdo. 

Orsini, 90 anni il 2 aprile: li ha festeggiati in compagnia del suo... amico, compagno di vita, ossessione? «No. Piuttosto, celebro la mia perseveranza nel teatro. Non convivo con lui, mi identifico con la sua ribellione contro le ingiustizie del mondo. Sono agnostico, ma gli slanci spirituali che mi affascinano; quel furore nel dire le cose è tipico dei russi e della loro gioventù ottocentesca. Non interpreto la loro anima, ma il flusso di parole e il loro dibattito interno, proposti in scena, creano qualcosa di paragonabile alle discussioni che i ragazzi d’oggi fanno dibattendo non su Dio, ma sul calcio».

E poi: «Il nostro non è un monologo usuale, con leggio e pianista, ma un allestimento completo, dotato di splendida scenografia, le macerie di quell’aula di tribunale in cui, nel romanzo, ebbe compimento la storia e in cui oggi di nuovo immergiamo Ivan, oltre due secoli dopo i fatti. Grazie a lui rinsaldo la memoria della mia presenza in quel romanzo. C’è un legame che unisce me decrepito e quel giovane dai capelli quasi albini del ‘69. Io e Micheletti abbiamo immaginato una realtà distopica. Senza un proprio finale, Ivan continua a esistere in palcoscenico. Come afferma Nathalie Serrault, ”la vera vita dell’uomo comincia solo dopo la sua scomparsa”. Amleto e Macbeth non muoiono, anche se lo fanno in scena. In quel tribunale ormai in rovina Ivan resta per avere una propria fine». 

L’espediente drammaturgico incarna, così, la poetica del doppio. In lui si rispecchia Dostoevskij, in lui l’attore-uomo Orsini. Grazie a un vecchio magnetofono la sua giovane voce del ’69 risuona tra i ruderi del tribunale. Artifizio del diavolo, pensa l’Ivan di oggi. Impossibile. Credere nel demonio indurrebbe ad accettarne l’opposto, il Dio crudele, che fa soffrire gli innocenti». E quale fine gli ha riservato? «Il riconoscimento della colpa. Ivan vuole essere punito per aver istigato Smerdjakov a uccidere il padre: “Sono io il responsabile”, esclama. E io glielo faccio dire, finalmente! Nel segno della Serrault, e del tempo che si dilata, nume nascosto dell’intera storia». 

A proposito di tempo, come si confronta con i 90 anni? «Progettando uno spettacolo fintamente autobiografico, “Prima del temporale”, scritto con Massimo Popolizio e da lui diretto». Il tema? «Consono alla domanda: un attore, in camerino, ripercorre la propria vita, che è la mia, ma anche quella di un’epoca, l’Italia dagli anni 60 a oggi. Rievocherò Visconti, Zeffirelli, la Falk, Pani, i fantasmi di amici scomparsi più giovani di me... attraverso suggestioni, richiami, memorie, proiezioni e altri complessi artifizi tecnici, locandine che cadono come foglie secche, io che muovo passi tra gambe gigantesche: quelle delle Kessler». 

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