Tosca D'Aquino, ritorno sul palco a Napoli: «Ozpetek? Ispirato da De Filippo»

«Dalla Rai aspettiamo di sapere quando torneranno I Bastardi di Pizzofalcone 5»

Tosca D'Aquino e Federico Cesari
Tosca D'Aquino e Federico Cesari
di Luciano Giannini
Domenica 7 Aprile 2024, 08:00 - Ultimo agg. 8 Aprile, 07:19
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«La quinta stagione dei “Bastardi di Pizzofalcone” si farà. Aspettiamo dalla Rai la data di inizio riprese. Ma tra poco uscirà nelle sale una commedia in cui ho un ruolo divertente, “Il mio regno per una farfalla”, ritorno alla regia di Sergio Assisi, girato a Ischia, con molti attori napoletani, da Covatta a Casillo e Nunzia Schiano». Briosa, vitale, bella, Tosca D’Aquino diffonde energia positiva attorno a sé. Ormai madre di due figli, è ancora la ragazza «c’’a capa fresca» di Pieraccioni ma, nello stesso tempo, non lo è più, avvicinandosi ai 60 anni, che compirà il 10 giugno 2026: «Mamma mia, perché dice queste cattive parole?».

L’attrice sarà da mercoledì al Diana in «Magnifica presenza», drammaturgia che Ferzan Ozpetek ha tratto dal suo film omonimo del 2012 (repliche fino a domenica 21).

La storia: sensibile e un po’ disadattato, Pietro è un giovane gay, incapace di rapportarsi con la volgare e cruda realtà di oggi. Nell’appartamento in cui va ad abitare, però, incontra un gruppo di fantasmi che lo popolano, e che gli cambieranno la vita. In scena, con la D’Aquino, saranno sette interpreti, tra cui Serra Yilmaz e il giovane ed emergente Federico Cesari, amato dalle nuove generazioni grazie al cinema e alla tv («L’ultima volta che siamo stati bambini» di Claudio Bisio e la serie Netflix «Tutto chiede salvezza»).

Tosca, com’è approdata alla corte di Ozpetek? «Amore a prima vista. Lui adora i napoletani. Tanto da dirmi: “Ma com’è che non abbiamo ancora lavorato insieme?» Il suo ruolo, al cinema, era di Paola Minaccioni: «Sono Maria, la cugina di Pietro, adorabile, ma un po’ matta e politicamente scorretta». Vale a dire? «Quando lui le confida che ci sono delle presenze nell’appartamento, lei senza indugio gli risponde: “Saranno immigrati che ti hanno occupato casa». Ed è anche l’unica a usare una cadenza partenopea; gli altri parlano in italiano, innanzitutto i fantasmi, che negli anni 30 erano attori, simpatizzanti per la Resistenza, morti tragicamente durante la seconda guerra mondiale.

Tosca: «Ho amato molto il film, ma riconosco che la trasposizione teatrale è più strutturata. Senza macchina da presa e primi piani, Ferzen ha dovuto costruire personaggi più completi, parlanti e ricchi di sfumature psicologiche. Si ride di più e il finale è commovente». Morale della favola? «È l’amore, peraltro sempre in primo piano nei film di Ferzan. E Cesari, molto credibile, non fa rimpiangere l’Elio Germano del film nei panni di Pietro. Il protagonista è lui. La scenografia di Ferrigno, altro napoletano doc, e le formidabili musiche scelte da Ozpetek contribuiscono a creare magia in uno spettacolo che è la storia di una catarsi e un inno alla vita». Com’è Ozpetek come regista? «Ti chiede sempre la verità. Non ama le sovrastrutture. Nelle prove ci diceva: “Non recitate, siate voi stessi».

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La trama evoca «Fantasmi a Roma» di Pietrangeli: «E anche “Questi fantasmi!” di Eduardo, che recitai con Luca De Filippo. Senza dubbio, Ferzan si è ispirato a entrambi». È cambiata Tosca dai tempi di Pieraccioni? «Guai se non lo fossi. Sposata e risposata, oggi sono mamma, ho perso un padre abbastanza giovane... per fortuna c’è ancora mamma, bella, fresca e tosta a 86 anni... e ho seguito il mio sentiero artistico, fatto di dolori, difficoltà, ma anche di crescita. Della ragazza di Pieraccioni conservo la freschezza, che la maturità di oggi ha reso più saggia».

Come ha imparato a cucinare? «Vengo da una famiglia di eccellenti cuochi... padre, madre, nonno, fratello, uno zio che è campione del mondo di ragù... Andavo a casa di nonna, al Vomero, e sentivo i profumi già in ascensore». Piatti preferiti? «Quelli della tradizione napoletana. Il mio sartù di riso è puro atto d’amore, ma ti so anche preparare una cena messicana, o thailandese. Non faccio la genovese, però». E perché? «Mah, non so, tutte quelle cipolle... preferisco assaggiarla da mio zio. C’è un guaio, però». E qual è? «Purtroppo, mi piace mangiare». 

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