San Carlo, la «Lady Macbeth» dello scandalo: Shostakovich divide i coristi

San Carlo, la «Lady Macbeth» dello scandalo: Shostakovich divide i coristi
di Donatella Longobardi
Domenica 8 Aprile 2018, 12:21
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Stupro in scena, una scena di sesso con luci stroboscopiche, coristi in mutande e tanto altro: è «Lady Macbeth del distretto di Mcensk», l'opera di Shostakovich in programma al San Carlo da domenica prossima con la controversa regia di Martin Kusej nata al National Opera di Amsterdam nel 2006, poi rappresentata a Parigi e Madrid.

Tante le discussioni dietro le quinte durante le prove, difficoltà tecniche e proteste delle maestranze. «Ma no, stiamo lavorando senza tensioni, non c'è nulla di pornografico, è solo teatro e quello che si vede in scena è richiesto dal libretto», taglia corto il direttore artistico Paolo Pinamonti. È stato lui a scegliere di portare al San Carlo questo spettacolo che aveva visto qualche anno fa a Madrid. «Ne uscii turbato», ammette. Ma poi le ragioni della regia lo hanno convinto. E hanno convinto anche il direttore musicale, Juraj Valuha. È stata una scelta fortemente condivisa. E non poteva essere diversamente. Credo che pochi come Kusej abbiano saputo mettere in evidenza la sensualità che si libera nella musica di Shostakovich», aggiunge Pinamonti mostrando il volume in italiano della novella di Nikolaj Leskòv da cui il compositore russo trasse la sua opera lirica. Opera audace per i suoi tempi, in scena la prima volta nel 1936, condannata dalla «Pravda» dopo un iniziale successo, rappresentata subito negli Stati Uniti dove la vide Stravinsky. Stalin, presente ad una replica a Mosca, aveva abbandonato il teatro prima che lo spettacolo finisse siglando, di fatto, la scomunica dell'opera e dell'autore: «Caos anziché musica». Per fare in modo che il lavoro tornasse sulle scene della Russia sovietica, Shostakovich apportò una lunga serie di modifiche al libretto e allo spartito.
 
Ma solo quattro anni dopo la sua morte, nel 1979, Mistislav Rostropovich riuscì a mettere in scena la partitura della versione originale e rilanciare il titolo in tutto il mondo. Nel 2000 il celebre violoncellista fu ingaggiato in veste di direttore d'orchestra a Napoli in occasione della prima napoletana dell'opera. Ma anche allora ci furono molti problemi durante le prove tanto che Rostropovich lasciò il podio a pochi giorni dal debutto e al suo posto fu chiamato un direttore russo, tra i pochi che conoscevano la partitura, Volodmyr Kozhukhar.

Shostakovich, nota il direttore artistico, «fa della protagonista dell'opera, Katerina Izmajlova, una tragica eroina cambiando completamente registro rispetto a Leskòv che la vedeva come una femme fatale degli anni 40. La donna, che si innamora di uno dei servitori del suocero e finisce con l'uccidere insieme a lui sia il suocero che il marito, rappresenta un barlume di sincerità in un mondo dominato dalla violenza maschile nelle sterminate campagne della Russia prerivoluzionaria. Ed è in questo contesto che il compositore pone al centro un tema che l'opera lirica non aveva mai affrontato, la sessualità. Tanto che i critici americani dopo le prime rappresentazioni negli Usa parlarono di pornofonia». Ed è in questo contesto che si inserisce la regia di Kusej, in linea con tanti spettacoli d'opera che si vedono sopratutto nei grandi teatri europei: «Orgasmo e assassinio sono agli antipodi, due estremi alla ennesima potenza di amore e odio, i due rapporti fondamentali fra gli esseri umani. Il fulcro della mia messa in scena è questa emozionante e insondabile essenza del comportamento umano», scrive nelle note che accompagnano la messa in scena. «Quello che più mi interessa in questa opera è l'insieme di eros e sensualità quando viene messo sotto pressione dalle strutture di potere e dipendenza e che sfocia in una forma particolare di impotenza, di aggressività repressa e di energia criminosa. Lady Macbeth non ha nulla in comune con una storia romantica di amore e odio. È una tragedia che suscita poca pietà e nessuna paura. Non c'è catarsi. I personaggi sono allo stesso tempo carnefici e vittime poiché circostanze violente portano a reazioni violente», conclude il regista che dovrebbe arrivare a Napoli nei prossimi giorni. Nel frattempo tocca a Pinamonti mediare. «Presentarsi in scena in mutande? Sarà una scelta libera dei professionisti del coro, alcuni hanno accettato altri no, ma non si altera il senso della regia», assicura il direttore artistico. Anche nella scena dello stupro della cuoca qualcuno si è sfilato, troppo hard mettere le mani addosso a una donna, strapparle vestiti e reggiseno, lasciarla mezza nuda in scena: «Lo capisco benissimo», chiosa Pinamonti, «ci sono sensibilità che vanno rispettate, ma questa è comunque una operazione legata alla nostra contemporaneità. Quello che si vede e si sente ai telegiornali con la violenza nei nuclei familiari è spesso molto più forte di queste scene. La regia non ha inventato nulla, è tutto nel libretto e nella musica, non c'è racconto parallelo, solo la drammatizzazione di un mondo claustrofobico ed ossessivo. D'altronde questo è il teatro tragico, ce lo hanno insegnato duemila anni fa i greci portando in scena Edipo che uccide il padre e va a letto con la madre».
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