Cappuccio: «Il mio Don Chiosciotte in lotta contro un mondo disumano»

Cappuccio: «Il mio Don Chiosciotte in lotta contro un mondo disumano»
di Luciano Giannini
Mercoledì 22 Marzo 2017, 10:12 - Ultimo agg. 10:18
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Ruggero Cappuccio si moltiplica: mentre prepara il suo primo Napoli Teatro Festival Italia, mette in scena «Circus Don Chisciotte», prodotto dallo Stabile Teatro Nazionale di Napoli, e da lui scritto, diretto e interpretato. Al suo fianco Giovanni Esposito, Giulio Cancelli, Ciro Damiano, Gea Martire e Marina Sorrenti. Nel foyer del Mercadante, dove presenta l'allestimento (da domani fino al 2 aprile al San Ferdinando), dedica lo spettacolo a un piccolo grande eroe napoletano, Gerardo Marotta, avvocato pensatore, fondatore dell'Istituto italiano per gli Studi Filosofici ma, soprattutto, «visionario» quanto l'eroe di Cervantes: «Come Don Chisciotte, credeva in cose su cui gli altri erano scettici. Non è paradossale, forse, il suo desiderio di donare 300mila volumi raccolti nel corso della sua vita appassionata, mentre noi ci riteniamo così ricchi di palazzi, istituzioni e burocrazie da non riuscire a ricevere il suo dono?», si chiede Cappuccio.

Nella pièce, che arricchisce il patrimonio teatrale contemporaneo della nazione napoletana, immagina «un ex professore universitario in lotta contro un mondo sempre più disumano. Michele Cervante, questo il nome, vive come un colto clochard, in compagnia dei suoi libri, lungo il binario morto di una stazione. Si ritiene discendente di Cervantes. È un emarginato come l'eroe dei mulini a vento. E come Marotta. E lungo quel binario incontra, tra gli altri, un infermiere precario e, con lui, ordisce una rivoluzione contro la disumanizzazione».

I germi di questa ribellione vagano nell'aria e si propagano: «Come loro, nella vita reale ce ne sono tanti; gentiluomini di campagna con la lancia nella rastrelliera, un levriero e un vecchio abito che nel Cilento, in Basilicata, Campania, Sicilia inseguono il sogno di salvare... una piccola biblioteca, o un giardino pubblico trasformato in immondezzaio, una qualche ricchezza, insomma, che il mondo dei disumani non considera tale, o che non considera proprio».

Il Don Chisciotte è senz'altro un libro di riferimento per il drammaturgo-regista: «Ulisse alla fine ritrova Itaca e debella i Proci, Ercole supera le 12 fatiche, l'hidalgo no. Con lui Cervantes crea il romanzo della crisi e, dunque, il romanzo moderno. Bisognerà attendere Melville con Moby Dick e poi Kafka per tornare alla letteratura del fallimento. Don Chisciotte ci insegna il gioco della realtà e dell'illusione: il reale non è sempre tale. Come l'illusione. I maestri d'Oriente non ci ricordano forse che le immagini davanti ai nostri occhi sono soltanto frutto di un sogno?». Realtà e illusione riconducono a Marotta. Cappuccio: «Anch'egli è discendente di Cervantes, perché amava i libri, aveva una visione della città e da visionario è morto lasciandoci una lezione: la necessità di credere in qualcun altro, anche se costui ci dice che i mulini a vento sono giganti dalle braccia rotanti». Questo spiega la parola «circus» nel titolo della pièce: Come nel circo si esalta il virtuosismo del corpo, qui si mostra un disperato virtuosismo dell'anima».

Cappuccio spiega anche le proprie scelte linguistiche: «Cervante parla un italiano eversivo sospeso nel tempo. L'infermiere-scudiero (Salvo Panza) un napoletano campagnolo che evoca Basile; Dulcinea è una principessa siciliana. In napoletano parlano anche due ristoratori falliti, che preparano una immaginaria cena per il nuovo hidalgo. Quanto al Duca, altro personaggio sul binario morto, viene da Venezia e, dunque, parla in veneto».
Questo proliferare di lingue sembra un'anticipazione: «Nella prossima stagione - spiega, infatti, Luca De Fusco, direttore dello Stabile - il San Ferdinando ospiterà probabilmente il bellissimo Pasolini di Popolizio, che ha messo in scena all'Argentina Ragazzi di vita, per diventare Casa dei dialetti, e non solo quella della lingua napoletana». A proposito della sala che fu di Eduardo: «Cappuccio vi entrò l'anno scorso proponendo il suo Spaccanapoli Times in tempi difficili, quando il teatro doveva ricostruire una identità e richiamare il pubblico. Oggi il tasso di occupazione posti è salito al 73 per cento, e in una sola stagione, mentre ben sappiamo che basta un anno per perdere spettatori, ma ce ne vogliono 10 per riconquistarli». Non è un caso, dunque, se anche nella prossima stagione Cappuccio tornerà al San Ferdinando con una nuova drammaturgia.
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