Capossela: «Canto le ombre
il lato oscuro della musica»

Capossela: «Canto le ombre il lato oscuro della musica»
di Federico Vacalebre
Lunedì 13 Marzo 2017, 17:29
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Per quanto il disco sia nato a due passi da qui, nell’ormai mitologico paese dei coppoloni, a Napoli arriva solo la seconda tranche del tour delle «Canzoni della cupa», quella dedicata all’ombra, che approda dopodomani sera al teatro Augusteo.
Che cosa vedremo, e che cosa ci siamo persi, Vinicio?
«È buffo che proprio a Napoli non sia arrivato il primo tour, frutto di quel disco, peraltro già diviso in due anime. Il primo show, nato per i grandi spazi aperti, era all’insegna della polvere, con un mucchio selvaggio di undici musicisti radicali e radicati nel senso del territorio, tra mariachi e tamburi di frontiera. Il secondo, come ascolterete - perché da vedere c’è ben poco, anzi dovrete abituarvi all’oscurità - sviluppa il tema dell’ombra trovandolo clamorosamente presente anche nella mia produzione precedente. Dominano gli strumenti a corda, le presenze fantasmatiche, dal violino al theremin ai tamburi a cornice, lo strumento del diavolo. Il tutto immerso in un’atmosfera da teatro di ombre grazie ad Anusc Castiglioni e alle luci di Loic Hamelin. Ci sono rami d’albero che diventano ombre di lupi, tanto per fare un esempio».
Un viaggio nel lato oscuro della musica?
«E della vita. Con il poeta iniziamo dicendo: lasciate i vostri smartphone o voi che entrare che la dritta via andiamo a smarrire. E ci smarriamo procedendo, come in un flusso di coscienza, in quattro quadri, che ci portano ad evocare i concetti del selvatico, dell’archetipo, dello specchio e dell paese. Tra licantropi e fattucchiere a Napoli troverete pan per i vostri denti, vi sembrerà di vedere Tiresia ai Campi Flegrei, di sentir invocata la sirena Partenope».
«Le canzoni della Cupa» presentano all’Italia della dimenticanza un repertorio popolare importante.
«Come in scena si brancola nell’oscurità, così nel metter mano a quel canzoniere - che a volte non era nemmeno tale, penso ai sonetti calitrani - brancolavo nel buio, ma non cercavo la luce. Non ho riportato a luce, nè a vita, niente, piuttosto ho percorso strade, ascoltato storie, nenie, danze, melodie che poi ho narrato e cantato alla mia maniera».
Nessun punto di riferimento per il folk che verrà?
«No, un modestissimo contributo alla cultura orale, un giacimento prezioso quanto a rischio di esaurimento. Se non conosci una cosa non puoi usarla, pensa al premio Nobel Dylan se non avesse conosciuto la Bibbia, grandissimo contenitore di storie anche per i non credenti, Woody Guthrie, i blues».
Sono state annunciate le date dell’edizione 2017 del tuo «Sponz festival», che quest’anno si terrà nel cuore dell’alta Irpinia, il Calitrishire, dal 21 al 27 agosto.
«Siamo dei pazzi, annunciamo la manifestazione, anzi la proclamiamo, senza sapere ancora con quali fondi costruirla. Siamo nel 17, anno di rivoluzioni e rovesciamenti, giocheremo a capovolgere il mondo, i suoni, le ombre. Rilanceremo lo slogan “all’incontrer”, sacrosanto grido di battaglia dei balli comandati: avverte che si sta per cambiare verso, ritmo, partner, visione. In fondo è anche una scelta politica».
Una scelta politica?
«Certo, viviamo in un mondo così sbagliato che se lo capovolgiamo potremmo trovarci improvvisamente in quell’altro mondo possibile che stavamo cercando da anni».
 

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