La nuova vita di Mannarino:
«Vorrei rinascere nella Napoli dell'800»

La nuova vita di Mannarino: «Vorrei rinascere nella Napoli dell'800»
di Federico Vacalebre
Venerdì 20 Gennaio 2017, 10:22
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È una Roma città aperta quella che risuona in «Apriti cielo», quarto album di Alessandro Mannarino, peraltro ex dj di world music che si diverte qui a mixare anche echi di rock e di blues. Mille le ispirazioni: Veloso, De André, Stefano Rosso, Rino Gaetano, Celentano, Jorge Ben Jor, Gainsbourg, Morricone, Jannacci... Un graditissimo ritorno, quello della canzone d’autore che fa il suo mestiere: usare melodie e ritornelli memorabili per dire con parole ispirate e feroci del nostro vivere perplesso e attonito e non solo di trottolini amorosi.
 

Un disco nato tra il Cupolone e Bahia, tra stornelli e samba?
«Diciamo che l’esperienza di mischiadischi conta: suonavo nei locali multietnici tra Trastevere e Monti, sui miei piatti come in pedana si incontravano culture. Poi sono venuti ripetuti e lunghi viaggi in Brasile: mi sono innamorato di un popolo, di un suono, ma anche della possibilità di vivere diversamente, rallentando. I tamburi danno colore e ritmo, diventano il battito di cuore di tutto il lavoro, alleggerendo quello che dovevo raccontare, ovvero quello che vivo, che viviamo: un tempo cupo e triste».
Gabriella Ferri incontra Chico Buarque De Hollanda?
«Ogni definizione spiega e deforma, ma oggi la canzone romana e la musica popular brasileira hanno lo stesso peso nel mio mettere parole in musica. Ballare è un esorcismo che in Brasile nasce dalla tristezza, suggeriva Vinicius de Moraes, non solo dalla gioia, dalla sensualità».
Il titolo è un’invocazione, un’esortazione, un imperativo?
«Ognuno lo legge come vuole, ma di sicuro è la speranza che ognuno di noi cerca alzando gli occhi verso l’alto. Anche questo ottimismo che alligna nel buio arriva dalla lezione della musica carioca, cresciuta sotto la dittatura, mascherando da canzoni d’amore critiche sociali e politiche. “Apriti cielo”, ad esempio, racconta il dramma dei migranti, ma forse anche la fuga di tanti giovani da un Occidente ormai paese per vecchi».
Come Veloso, Gil e Buarque fa finta anche lei di parlar d’altro ma sta parlando di politica? «Era una esistenza molto strana, ci si entrava con un nome, era una galera molto grande, ma si usciva per ballare», canta ad esempio in «Vivo». Quale è la galera che ci intrappola tutti?
«Siamo prigionieri di un’impalcatura sociale e culturale. Usciamo di casa senza conquistare l’aria aperta, al massimo il cortile di un carcere enorme».
L’«Arca di Noè», che richiama quella di Sergio Endrigo, e «Le rane», sono canzoni d’amore.
«L’amore è la benzina più potente, sfugge alle logiche della fisica, non va mai in passivo: in un pianeta in cui tutti gli organismi sono protesi a risparmiare e tutto tende all’omeostasi poiché si cerca di fare il più possibile sprecando meno energia possibile, l’amore funziona al contrario. Più dai e più ti alimenti e più hai benzina dentro».
Eppure il buonismo non fa per lei, che se la prende persino con «Gandhi».
«Non con lui, ma con il mito pacifista che abbiamo alimentato, con le scuole intitolate a lui nel bel mezzo di borgate violentissime che resteranno violentissime. La retorica cancella il messaggio e alimenta business osceni».
Il suo Gandhi incontra anche uno strano Pulcinella, che si toglie la maschera e si scopre ben diverso da come credeva di essere.
«È come un black block a viso scoperto, un Gandhi eguale e contrario».
Il suono tropicalista del disco è prodotto da Tony Canto, alle percussioni c’è il brasiliano Mauro Refosco dei Forrò in the Dark (anche Red Hot Chili Peppers, Atoms for Peace e David Byrne tra le sue collaborazioni), in «Vivo» c’è il sax di Avitabile.
«Enzo è un pianeta a parte, sono onorato di averlo con me, in questo momento è il musicista più interessante e libero che esista in Italia».
«Un’estate» è la speranza ultima a morire?
«È una conclusione possibile per un disco che insegue un altro mondo forse possibile».
Roma città aperta, allora?
«Quella che sogno io, sì. Quella che canto in “Roma”, che non a caso apre il disco, è, invece, una città diventata muta, allo sbando, la grande bellezza ridotta a grande bruttezza».

Tour al via il 25 e il 26 marzo dal Palalottomatica di Roma, per arrivare il 10 aprile alla Casa della Musica di Napoli,
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