Metheny: «Io, la mia nuova band
e il ricordo di Daniele e Bowie»

Pat Metheny con Nello Daniele
Pat Metheny con Nello Daniele
di Federico Vacalebre
Mercoledì 3 Maggio 2017, 23:17
4 Minuti di Lettura

il titolo dello spettacolo, «An evening with Pat», non dice, forse volutamente, molto delle intenzioni di Metheny, da stasera nuovamente in Italia.
Si inizia da San Benedetto del Tronto, Pat, ma domani si suona ad Assisi, nell’Umbria a te così cara.
«Ho fatto di tutto per esserci, “Umbria jazz” mi ha fatto conoscere una terra e la sua gente, l’incasso andrà alla popolazione terremotata di Norcia. Se posso dare indietro qualcosa di tutto quello che ho ricevuto sono pronto: l’Italia è stata generosa con me».
Sabato 6, poi, tornerai a Napoli, per la prima volta in teatro, all’Augusteo.
«È vero, sono stato di casa al Palapartenope e l’ultima volta mi sono esibito all’Arena Flegrea, ma mai in un teatro. Napoli, l’ho detto decine di volte, è un luogo speciale per me e questa sarà l’occasione per un’esibizione davvero speciale».
Allora scopriamola questa esibizione speciale. Il titolo fa pensare a un repertorio che riepiloghi la tua carriera.
«Questa volta ho voluto rompere il solito schema di scrivere musica, registrare un disco, fare il tour. E poi ho tanta musica composta nel corso degli anni che non ho quasi mai suonato. Ho voluto mettere insieme un gruppo che potesse essere a suo agio nella varietà di suoni che ho frequentato sinora. Ma, nel mio concetto di fare musica, “come” è sempre stato più importante di “cosa”. Suoneremo tanta vecchia musica in una nuova maniera e anche pezzi nuovi: ho una band davvero eccitante».
Un nuovo quartetto con Gwilym Simcock al pianoforte, Linda Oh al contrabbasso e Antonio Sanchez alla batteria. Parliamone.
«Avere Antonio alle mie spalle mi dà certezza, ormai il rapporto è sperimentato e il feeling è sicuro. Linda e Gwilym sono due musicisti eccellenti, anche qui l’intesa è cresciuta, mi hanno anche spinto a scrivere per questo ensemble: mi sento molto eccitato. Come dicevo, ho capovolto la prospettiva disco-promozione-tour, faccio nascere tutto dal vivo, dalla dimensione creativa della scrittura, dell’improvvisazione».
Dopo Django Reinhardt, Charlie Christian e Wes Montgomery, sei il quarto chitarrista entrato nella «hall of fame» di «Downbeat». Ma quale è la tua personale classifica degli artisti della sei corde?
«Sui tre nomi citati sono perfettamente d’accordo. Tra i tanti riconoscimenti avuti questo è davvero speciale e non solo perché ho letto la bibbia del jazz sin da quando ho iniziato a suonare».
L’estate scorsa all’Arena Flegrea ricordasti Daniele, con cui ti sei esibito nel ‘95 in uno storico tour.
«In quell'occasione ho anche conosciuto suo fratello Nello. Ho amato Pino come uomo ed artista, mi manca, e non credo di essere l’unico. Progettavamo un altro giro di concerti, ma purtroppo... E questa è una storia che abbiamo già raccontato».
Il Pat Metheny Group avrà un futuro o è sciolto?
«Diciamo che la notte non sogno nessuna delle mie band, ma sarei felice di ritrovare tutte le formazioni che mi hanno accompagnato, soprattutto per un così lungo tempo com’è accaduto con il Pmg. Per me, poi, tutto quello che è accaduto da “Bright size life” ad oggi è in connessione: tutto quello che ho fatto era targato Pat Metheny Group, non importava quali musicisti stessi usando, il viaggio continua nella stessa dimensione».
Quando David Bowie è scomparso hai ricordato la straordinaria collaborazione per «This is not America», canzone scritta per il film «Il gioco del falco».
«In un mese trovò il titolo, da un dialogo del film di John Richard Schlesinger, ne scrisse il testo, aggiunse una batteria elettronica ed espanse la linea melodica trasformandola in una delle più grandi - per me - canzoni di protesta di sempre. Vederlo registrare le parti di canto fu un’esperienza che non posso dimenticare: fu magistrale, brillante, velocissimo, si fece da solo anche i cori, cambiando voce due o tre volte. Era un grande professionista, non solo il camaleonte dello show tanto decantato, ma non voleva perdere la spontaneità di quello che stava facendo. Tra l’altro, nel suo disco d’addio ci sono alcuni dei migliori musicisti attivi a New Orleands, a partire dal fantastico Donny McCaslin. Amava il jazz e soprattutto i sassofonisti. Come con Pino, ringrazio il destino che mi ha permesso di lavorare con lui».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA