Musica e ironia raccontano una fuga sulla rotta Napoli-Bucarest. E la dedica è speciale

Riquadri con persone di diversa nazionalità
Riquadri con persone di diversa nazionalità
di Gennaro Morra
Lunedì 16 Ottobre 2017, 22:41 - Ultimo agg. 17 Ottobre, 10:02
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Una canzone per raccontare con ironia una fuga sulla rotta Napoli-Bucarest. È “Immigrant Cancion”, l’ultimo singolo di Victor Zeta e I fiori blu, di cui da qualche giorno è on line il videoclip girato tra le province delle due città. E napoletano di Capri è Victor, al secolo Ugo Russo, che in questo brano – che anticipa l’uscita del nuovo album prevista per il prossimo inverno – ha voluto duettare con Costel Lautaru, musicista romeno che conferisce alla canzone atmosfere balcaniche. Un’amicizia, quella tra i due artisti, che è stata essa stessa fonte d’ispirazione per un brano che tratta con leggerezza temi drammaticamente attuali come l’immigrazione, l’integrazione e il lavoro nero.
 
«Ho molti amici stranieri (ucraini, rumeni, russi, africani) e mi piace ascoltare le loro storie. Perciò il brano nasce da questa esigenza di raccontare altre vite, altri luoghi, altri mondi – spiega il cantautore partenopeo –. Tra questi amici sicuramente Costel Lautaru è quello che mi ha insegnato di più: abbiamo un legame molto forte e lo considero il “fratello maggiore” che non ho mai avuto. Con lui suono musica balcanica e spesso mi ha ospitato durante le sue serate, come io ho fatto altrettanto con lui». E il videoclip che accompagna “Immigrant Cancion”, di cui Victor Zeta firma anche la regia, è un caleidoscopio di immagini reali e surreali, che racconta una fuga alla ricerca della felicità per sottrarsi all’oppressione. E infatti il filmato si chiude con una dedica speciale: “Siamo tutti figli di un viaggio, più o meno lungo, verso la vita, l'amore e la libertà”.
 

 
Un pensiero rivolto a due persone morte in periodi e circostanze diverse, ma che per Victor rappresentano due simboli di una libertà inseguita a tutti i costi. Uno di questi è Ihor Doonenko, un ingegnere ucraino emigrato in Italia con la moglie e morto a Napoli nel gennaio 2015, battendo la testa sulle scale di Calata San Francesco, mentre in compagnia di un collega si recava a eseguire un sopralluogo per un lavoro edile. Il 44enne fu abbandonato su quelle scale in un lago di sangue dalla persona che lo accompagnava, poiché era stato assunto senza fargli firmare un regolare contratto. Ci vollero molte ore per identificarne il cadavere e avvisare la moglie. «È una questione molto seria quella del lavoro nero e dello sfruttamento degli immigrati – afferma il cantautore –. So che c'è stata un’interrogazione parlamentare, poi non so come sia andata a finire. Ma credo che la famiglia di Ihor Dolonenko debba essere tutelata e risarcita».
 
Invece, Antonio Angarella era un writer di Maddaloni, personaggio molto famoso nel paese in provincia di Caserta. L’uomo, che aveva 60 anni, fu trovato morto nella sua abitazione a diversi giorni di distanza dal suo decesso avvenuto per cause naturali. «Tony era un vero e proprio simbolo per Maddaloni, un uomo carismatico definito da chi gli voleva bene "Nu re libbero dinto a ‘na patria ‘e servi". Ci incontrammo a una mia serata a Maddaloni e mi fece i complimenti. Poi ci intrattenemmo a parlare di arte e di musica, gli dissi del brano e mi trasmise un amore profondo e viscerale per la musica e l'arte in generale».
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