Pezzali, punk mancato e interista:
«Per lo scudetto dico Napoli»

Max Pezzali
Max Pezzali
di federico vacalebre
Mercoledì 22 Novembre 2017, 13:52
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Tanto era militante, «libera ma libera veramente» «La radio» per cui Eugenio Finardi scrisse nel 1976 il suo inno, tanto è pop, anzi superpop, e spensierata quella a cui Max Pezzali dedica l'album con cui sorpassa la boa dei 50 anni, compiuti il 14 novembre, e dei 25 anni di carriera. L'ex 883 presenterà «Le canzoni alla radio» alle 17 alla Feltrinelli Express di piazza Garibaldi.
Non sarà fuori tempo un elogio del suono a Fm nell'era del web, Max?
«Non lo so, forse, o forse no, Video killed the radio stars, dicevano i Buggles in piena sbornia da clip, ma poi le star della radio sono rimaste e i video sono morti e resuscitati solo grazie alla rete. Volevo festeggiare i 25 anni di canzoni e il mezzo secolo di vita, ma mi serviva qualcosa di speciale, così, ho messo insieme le mie canzoni di successo, che alla radio ci sono andate davvero, e sette inediti che spero in radio ci vadano pure loro. La modulazione di frequenza ha scandito la mia vita, ricordo ancora la prima volta che qualcuno ha trasmesso un mio brano».
Sapevi di stare per sfondare?
«No, ma mi divertivo un mondo».
E ora?
«Ora c'è il mestiere, ma mi diverto ancora».
Magari anche grazie a qualche sfizio come la chitarra di Nile Rodgers nel brano che dà il titolo al doppio album.
«Beh... Nel provino c'era un chitarrina funky campionata dagli Chic, quando ho detto a Claudio Cecchetto, ancora e sempre al mio fianco, che sarebbe stato bello avere il maestro di quel suono non avrei mai immaginato che il sogno sarebbe diventato realtà».
Le canzoni alla radio, ma quali canzoni?
«Quelle per gli innamorati, dice il testo, ma anche per quelli che si lasciano. Quelle per chi viaggia e per chi sta chiuso in una stanza. La radio-radio, mainstream, popolare, commerciale: è stata la principale responsabile della mia formazione pop. Io ascoltavo tantissime altre cose, molto diverse, ed è stata lei che mi ha avvicinato all'idea di musica pop, creando un ponte tra generi e gusti che credevo inconciliabili. Forse senza Fm sarei stato un punk: all'epoca era una cosa più seria e difficile di oggi, lo slogan era no future ed il rischio di non avere futuro davvero c'era».
Un altro pezzo parla di quel periodo, «Volume 11».
«Una storia di anni 80, new wave, Irlanda e U2, ma anche di discoteca e di dj, di ritornelli facili, di volume alzato a manetta, di incoscienza giovanile, di esuberanza senza freni».
Torna il Pezzali punk mancato, «traviato» o «salvato» dal pop?
«Più o meno. C'è stato un tempo in cui vivevamo sino all'ultimo party, in cui la nostra famiglia erano gli amici e la discoteca poteva essere il nostro mondo».
In fondo, tutto il disco parla del tempo che passa.
«Certo, alcuni miei successi, penso a Rotta per casa di Dio, oggi non avrebbero più senso, sorpassati dalle tecnologie che hanno cambiato il nostro modo di vivere: Il secolo giovane sintetizza il bisogno di non farsi però catturare dalla nostalgia, il bisogno di vivere nel futuro, qualunque esso sia».
Da «Hanno ucciso l'Uomo Ragno» si arriva sino a «Duri da battere».
«Si dice sempre che l'unione dà la forza, ma non era detto che facendo ditta insieme Francesco Renga, Nek e io riuscissimo a fare davvero meglio delle nostre singole fanbase. Abbiamo dovuto raddoppiare alcune date, ci stiamo divertendo, soprattutto nel mettere le mani l'uno sui pezzi degli altri, per me è davvero una novità. Il 31 gennaio saremo al Palasele di Eboli, la sera dopo a Napoli, Palapartenope».
Magari pronti per un passaggio per Sanremo?
«È presto per dirlo, non abbiamo ancora sentito Baglioni, nè abbiamo un pezzo di scorta, ma in quei giorni siamo liberi, mai fare concorrenza al Festival, così...».
Se non in gara, si può sempre pensare di fare gli ospiti.
«Anche, sarebbe divertente».
E se Claudio vi chiedesse di mettere in scaletta anche «Si può fare di più»?
«Sarebbe divertente rendere omaggio al supertrio vincente del 1987 di Morandi, Tozzi e Ruggeri: ecco quella è una delle canzoni alla radio del titolo».
Quel trio era appassionatissimo di calcio. Come la mettiamo con la tua Inter che insegue il Napoli?
«L'Inter mi ha sorpreso, non ero ottimista, ero uno di quei tifosi che si erano saziati con il triplete.

Spalletti mi ha conquistato, è uno dei migliori allenatori che io abbia visto in nerazzurro, un motivatore unico al mondo. Dobbiamo puntare alla Champions, abbiamo i numeri giusti. Lo scudetto? Mi sembra una bestemmia, il Napoli mi sembra più attrezzato, la Juventus pure, ma... con un po' di fortuna non si sa mai».

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