Ranieri: «Dal Pallonetto al Tenco
la mia favola continua»

Massimo Ranieri
Massimo Ranieri
Mercoledì 16 Agosto 2017, 16:56
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«Beh... Che dire? Che un'ex scugnizzo del Pallonetto di Santa Lucia ha vinto il Premio Tenco 2017 come operatore culturale, aggiungendo il suo nome a quelli di Dario Fo, Nanda Pivano, Roberto Murolo? Che uno che ha vinto Sanremo e Canzonissima e Cantagiro è stato preso sul serio nel tempio della canzone d'autore? Grazie, grazie, grazie».
Massimo Ranieri è raggiante: «Tutta la mia vita è una favola e questo riconoscimento dice che, a 66 anni, la favola continua, non solo in scena, sullo schermo, nei dischi, ma anche nella vita. Mi hanno sorpreso, quelli del Tenco, la motivazione persino più del premio».
Sottolinea il tuo ruolo di «grande divulgatore della tradizione», ma anche di «prototipo di linguaggi espressivi del tutto inediti».
«Con me vince Napoli, dalle tammurriate a Pino Daniele, da Salvatore Di Giacomo ai neomelodici: li ho cantati tutti, divido il premio con loro, quelli famosi e quelli che fanno ancora le feste di piazza. E con Mauro Pagani, che quel premio però l'ha già avuto, nel 2011. Vince una tradizione che io ho portato dentro di me, prima cantandola come l'avevo ascoltata, di pancia, poi filtrandola attraverso tutte le mie esperienze, grazie al viaggio intrapreso con Pagani».
Un viaggio doppiamente controcorrente: hai fatto tabula rasa delle incrostazioni oleografiche, come dello snobismo che discrimina tra canzone d'autore e popolare. Un viaggio iniziato con l'exploit «giovanilie di «'O surdato nnammurato» (1972) e ripartito nel 2001 con il caposaldo «Oggi o dimane» per proseguire con «Nun è acqua» (2003), «Accussì grande» (2005), «Senza na ragione» (2013), ««Malia - Napoli 1950-1960» (2015), «Canzone napoletana. Piccola enciclopedia» (2015), «Malia parte seconda» (2016).
«Ho inciso quello che mi piaceva cantare, cercando una nudità essenziale al posto dell'eccesso romantico, stimolando un ritorno al nostro dna da colonizzati colonizzatori, arabi, spagnoli, francesi, americani, meticci, bastardi e fieri di esserlo. Così dopo l'immersione in suoni etnici, con Mauro abbiamo fatto gli americani di Napoli, i jazzisti del golfo. E chissà che cosa ci inventeremo ancora. Da Via del conservatorio a operatore culturale: chi se lo sarebbe mai aspettato».
È anche una bella responsabilità.
«Certo, anche perché ancora oggi la canzone napoletana rappresenta l'Italia nel mondo, anche prima del melodramma. Ma in casa noi la trattiamo malissimo: non la studiamo, non la insegniamo ai ragazzi, non la presentiamo ai turisti. Io ho spiato da vicino Bruni e Murolo, Carosone e Merola, ho visto un universo artistico e culturale sopravvivere alla fine di un'industria, ma anche l'inerzia della politica, delle istituzioni, della presunta intellighentia che non ha saputo e/o voluto difendere un patrimonio importantissimo, prezioso».
Eccolo, l«'operatore culturale» che si fa sentire.
«Ora non parlo da artista, ma da tifoso, da appassionato, da spettatore se si vuole. Possibile che non sappiamo vantarci di don Raffaele Viviani? Possibile che Enrico Caruso non meriti celebrazioni, musei, qualsiasi cosa? Possibile che cantaNapoli non abbia una casa, un museo ancora, uno spazio per studiosi ma anche turisti? Lo devo ripetere io, dopo tanti altri tra cui Lucio Dalla, bolognese capace di un capolavoro verace come Caruso, che Era de maggio è la canzone più bella di sempre?».
E lo stakanovista Ranieri che prepara?
«Niente, giro con i miei due show canori e mi preparo a vedere finalmente Riccardo va all'inferno: Roberta Torre è straordinaria, il solito Pagani ha scritto delle musiche incredibili, sono curioso di capire che cosa è venuto fuori da questo musical shakesperiano in chiave dark. Speriamo di riuscire a portalo al Festival di Berlino».
Prima c'è il Tenco, il ritorno all'Ariston di Sanremo, dal 19 al 21 ottobre.
«Per il cantante Ranieri sarà facile: in quel teatro sono di casa. Per l'operatore culturale che nacque Giovanni Calone... un po' meno».

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