Sting a Napoli: «Io, la musica, il vino e la morte»

Sting a Napoli: «Io, la musica, il vino e la morte»
di Andrea Spinelli
Sabato 17 Febbraio 2018, 11:06
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Della notte di Minneapolis ricorda soprattutto il freddo. «Ma ne è valsa la pena, perché esibirsi davanti a 110 milioni di telespettatori durante il SuperBowl è un'occasione straordinaria» racconta Sting, reduce da Sanremo e pronto per l'ennesimo tour italiano, che lo porterà anche a Napoli, il 30 luglio, all'Arena Flegrea, ospite della stagione della struttura e del Napoli Teatro Festival Italia, intervenuto per calmierare i prezzi (3.000 i biglietti in vendita a 25 euro).

In estate lo vedremo da solo, ma intanto, come all'Ariston, l'ex Police fa coppia fissa con Shaggy: dopo il singolo «Don't make me wait» si preparano a dare alle stampe il 20 aprile «44/876», album in condominio carico d'influenze. «Abbiamo gli stessi valori e le stesse idee», spiega l'inglese a proposito del sodalizio con il giamaicano, noto per un hit come «Boombastic», «ma la cosa più importante è che quando cantiamo insieme, succede qualcosa di strano, diventiamo una cosa sola e ci divertiamo molto. A entrambi piace aiutare le altre persone, ad esempio».

Shaggy dice che Sting gli ha dato «un sacco di lezioni sia sul fare musica sia sulla vita in generale, perché una persona che ama prendersi cura di te». L'incontro fra i due è avvenuto grazie a Martin Kierszenbaum, attuale manager di Sting: «Ci incontravamo, ci salutavamo ma non andavamo mai oltre quel saluto», racconta il bassista, «poi è scoccata la scintilla. Avevamo un amico in comune. Ci ha messi in contatto. Eravamo curiosi di capire come far combaciare i nostri stili. La mia filosofia è che se a uno aggiungi uno viene fuori tre... più o meno. Abbiamo capito di piacerci e di avere molto in comune e ci siamo divertiti davvero a registrare questo disco. Un disco che riflette la luce e la gioia di vivere, in un tempo in cui al mondo c'è tanto, troppo buio. Con Shaggy ho suonato a Kingston per raccogliere i fondi da destinare ad un ospedale pediatrico; erano una ventina d'anni che non tornavo in Giamaica, è stato molto bello e abbiamo anche girato il videoclip. L'idea del disco è anche quella di dare un messaggio politico molto importante, quello che in questi tempi di divisioni politiche, in cui popoli e nazioni si chiudono nelle loro frontiere, o sognano di farlo, due persone di culture diverse che si uniscono per fare musica, divertirsi, cantare, ballare».
 
0044 e 00876 sono rispettivamente i prefissi internazionali telefonici del Regno Unito e della Giamaica «quindi il titolo 44/876 è una sorta di legame che unisce i due Paesi, un legame fatto di gioia e di speranza». «Sono convinto», rilancia mister Boombastic, «che già in un'altra vita abbiamo fatto musica insieme». «Tipo Fred Astaire e Ginger Rogers?», scherza il rocker. «Io però faccio Fred Astaire», replica l'amico ironico.

Sting, che con i Police era partito da un «reggatta de blanc» e con Shaggy torna ai ritmi in levare ma in modo più profondo, vive a New York e passa le estati in Toscana, ma mantiene un rapporto viscerale con la musica italiana, soprattutto quella classica. «Ho composto la musica di un Dies irae sul testo originale che canto io stesso, dopo aver preso lezioni di latino, con un coro di otto elementi. Mi è stato commissionato per uno spettacolo sulla Cappella Sistina e il Giudizio di Michelangelo; si tratta di un resident show a due passi dal Vaticano, debutterà il 15 marzo all'auditorium della Conciliazione. Nello stesso periodo The last ship, la mia opera teatrale già rappresentata a Broadway, approderà in Europa, prima data nella mia nativa Newcastle». Quando parla di sé diventa esistenzialista: «Ho vissuto più vita di quanta me ne resta da vivere e questa è una situazione decisamente interessante per un artista. Più interessante di dover scrivere della tua prima ragazza. Dopo la scomparsa di gente con Bowie o Prince il tema della morte inizia a venirmi in mente. Passati i sessant'anni come affrontiamo noi artisti questa idea imponderabile che un giorno non esisteremo più? Creando arte, raccontando storie. Dobbiamo affrontarla, per forza. Di sicuro non sono ancora pronto per morire. Potendo scegliere, eviterei una morte improvvisa; vorrei andarmene nel pieno delle mie facoltà mentali, rendendomi conto del processo che mi porterà altrove».

Intanto, si consola con il vino, quello bevuto, prodotto, venduto: «Con mia moglie Trudie ci piace dare un contributo importante alla Toscana, una regione bella, tra le più belle del mondo. E lo facciamo con la nostra passione di coltivatori di vigneti e di produttori di vini. Anche noi vogliano contribuire a produrre alcuni dei migliori vini del mondo, per poi poterli condividere con tutto il mondo».

L'Italia per lui è ormai più di una seconda casa: «Mi piace la musica del Rinascimento, amo la tradizione dell'opera di Verdi e Rossini, soprattutto quanto la cantava il mio amico Pavarotti, così come anche il suono moderno, moderna, da Zucchero a Nek».
 
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