Graziano e Forni, se il successo
arriva prima all'estero

Ilaria Graziano e Francesco Forni
Ilaria Graziano e Francesco Forni
di Federico Vacalebre
Mercoledì 21 Marzo 2018, 21:22
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Con altri programmatori radiofonici, «Leftovers» sarebbe in alta rotazione e impeverserebbe anche in qualche campagna pubblicitaria in tv e web. Ma... Succede così che Ilaria Graziano e Francesco Forni facciano sì partire dall’Italia la promozione del loro nuovo album, siamo al terzo, ma, in fondo, guardino più al mercato canadese - che li attende per nove date tra fine giugno e metà luglio - e a quello francese che a quello nostrano. Eppure «Twinkle, twinkle» (etichetta Lamastrock/Goodfellas) apre per la prima volta seriamente la porta all’utilizzo dell’italiano.
E le lingue utilizzate dalla coppia napoletana sembrano direttamente collegate al suono ad esse abbinato. L’inglese non è quello del pop, ma quello del folk, dell’americana, del blues, di certo suono alternativo che cerca radici e le stempera nella narrazione dei sentimenti del presente: Johnny Cash, Ben Harper e Nick Cave sono modelli all’orizzonte, ma anche i Calexico o Marketa Irglova e Glen Hansard. Ma poi ecco i pezzi nella lingua natale («Sospesi», «Diario», «Passaggi» e «Solo un attimo», e già i titoli sono un programma), più rarefatti, più legati alla forma «canzone», più «italiani» (nonostante spunti «yankee») oltre che cantautorali, in qualche modo «da camera» come quelli precedenti sembrano «on the road» e «da spazi aperti». E, a complicare le cose, c’è anche il francese di «La glace et la neige» che vira il tutto in direzione prima della chanson poi dell’etnosound di casa oltralpe ma anche all’effetto irresistible delle voci di Serge Gainsbourg e Jane Birkin.
«Ogni lingua ha una sua sonorità e poetica», conferma Ilaria, voce e ukulele di questo tandem convinto che, come cantò già qualcuno, «quiet is the new loud». Francesco è la guida chitarristica, mai stoltamente virtuosa, del progetto, che continua a non chiedere apporto ad altri strumenti e non teme di mettere ulteriormente a nudo i propri sentimenti nell’adottare l’idioma dantesco: «La nostra missione, anzi, è sempre essere più nudi possibile», conferma la Graziano.
Narratori scappati dalle riserve digitali, i due hanno buttato giù questi pezzi che qualcuno etichetterà come alt folk in tre anni spesi suonando in giro per il mondo, da Budapest a Praga, da Londra a Montreal, da Ginevra a Bruxelles, per non dire dei teatri italiani («Angelicamente anarchici» di e con Michele Riondino).
Un’altra canzone è possibile, insomma, non si vive di solo finto-indie-sdoganato-dal-mainstream, nè di sola trap. Ma è tristemente ipotizzabile che il successo di Forni & Graziano lieviti prima all’estero - magari in Francia, come successe per Paolo Conte e Gianmaria Testa,  dove nei prossimi mesi uscirà «Twinkle twinkle» - che in patria: «Da quelle parti c’è più curiosità, più disponibilità all’ascolto. E non è vero che dagli italiani pretendano solo vocioni e antiche melodie con il cuore in mano», conclude Francesco, prima di rimettere in testa l’immancabile cappello.
 
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