Una «Gatta Cenerentola»
tra i suoni newpolitani

Enzo Gragnaniello in "Gatta Cenerentola"
Enzo Gragnaniello in "Gatta Cenerentola"
di Federico Vacalebre
Martedì 12 Settembre 2017, 20:05 - Ultimo agg. 15 Settembre, 13:16
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Dovendo parlare della «Gatta Cenerentola» della Mad la premessa è d’obbligo: quanto fatto da Roberto De Simone e i suoi prodi nel 1976 sta su di un altro pianeta. Quello spettacolo, quel disco, quell’operazione culturale, hanno cambiato il mondo del teatro italiano, hanno dato uno schiaffone all’allora rampante quanto impantanato movimento del folk revival, hanno spiegato a napoletani, italiani e restodelmondo che cosa poteva ancora succedere all’ombra del Vesuvio a patto di saper usare insieme le radici e le ali.
Detto questo, Antonio Fresa e Luigi Scialdone, nella colonna sonora del film mettono in campo pianoforti minimali, digressioni rock’n’roll, sintetizzatori dark e tanta melodia napoletana, a partire da una «Te voglio bene assaje» quasi swingata dal bravo Massimiliano Gallo. Fresca tiene insieme pianeti sonici diversi con gusto e coerenza, Scialdone sdogana il mandolino nella contemporaneità, usandolo come strumento-killer, insieme postmelodico e pulp fiction, iconico e post-oleografico. Intorno si muovono brani che preesistevano al film e non avevano avuto la vita meritata: «L’erba cattiva» di Enzo Gragnaniello (presente anche in versione «cantautore animato»), quasi una versione scritta nel tufo della «Mauvaise herbe» di Brassens; «Napoli» dei Virtuosi di San Martino è uno sparo nella notte, il grido della città perduta che si gongola nel suo stesso marciume; «Na bella vita» di Francesco Di Bella, affidata al tono rauco, rancoroso e sensuale di un'Ilaria Graziano convinta che «’e cose overe nun se perdono». I Foja di «A chi appartieni» sono i rocker-mediani di una scena ancora underground, come confermano anche Francesco Forni e Ilaria Graziano, i Guappecarto’ e le pagine di Daniele Sepe «arruolate» nella «soundtrack».
Insomma, se a piazza del Gesù hanno messo in piedi una factory verace dell’animazione, nell’annesso studio di registrazione è successo un altro piccolo miracolo, capace di valorizzare il mucchio selvaggio newpolitano ancora in cerca non di autore, ma di produttore, di talent scout, di addetti ai lavori, e non livori. Sembra quasi che intorno a questo piccolo grande film, e alla sua colonna sonora, si sia rivelata la comunità che non c’era, anzi che si nascondeva: quella di Cantanapoli 2017, che non dimentica il suo passato, anzi ricomincia da «Torna maggio». Ma poi pensa al futuro, senza stereotipi nè eccessi di sudditanza psicologica .

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