Fabrizio Moro: «Voglio diventare come Vasco Rossi e Ligabue»

Fabrizio Moro
Fabrizio Moro
di Federico Vacalebre
Giovedì 26 Luglio 2018, 12:27 - Ultimo agg. 12:35
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Si è goduto un attimo l’effetto Olimpico, poi Fabrizio Moro è ripartito in tour: è il suo anno, e, ormai l’ha imparato, il ferro si batte finché è caldo. La vittoria a Sanremo in coppia con Ermal Meta sulle note di «Non mi avete fatto niente», poi la conquista dello stadio della sua città: è il suo anno, e fino alla fine dell’estate girerà lo Stivale in lungo e in largo, con due date campane finora annunciate: domani al campo sportivo di San Nicola Baronia (Avellino), e sabato a Napoli, Arenile Reload.

Allora, Fabrizio, che Italia vedi dal fronte del palco in quest’estate del governo del cambiamento?
«Un Belpaese che è bello davvero, anche se è forse inevitabile, chi viene a un concerto vuole divertirsi, non lamentarsi. Un’Italia che ha voglia di festa, piuttosto che di dividersi su Ronaldo o su Marchionne, che altrimenti sembrerebbero essere gli unici argomenti di discussione permessi. Un’Italia che avverte un forte disagio, a cui mancano dei punti di riferimento, dei corpi illuminanti più vistosi. Pasolini denunciò l’estinzione delle lucciole, noi abbiamo perso la luce».

Un «corpo illuminante» nella tua vita?
«Mio padre, Franco Mobrici, con cui non ho mai parlato, che ho capito troppo tardi, a 35 anni, quando ero ormai un uomo fatto, o almeno avrei dovuto esserlo. A suo modo è stato un eroe, il mio eroe: per tutta la vita si è alzato la mattina presto con un unico compito, portare a casa il pane per la sua famiglia. Forse dovevo diventare genitore per capirlo, pur inseguendo un approccio diverso alla vita, ma anche alla famiglia».

Altri modelli?
«Non lo so, mancano appunto. Una luce, di sicuro, è quella di Ermal».

All’Ariston avete brillato insieme.
«Sì, la vittoria è stata bella, come il cacio sui maccheroni, avvertivo la responsabilità di un fratello maggiore, io potevo anche uscire dal Festival sconfitto, ma per lui era troppo importante».

Poi è arrivata la seconda vittoria dell’anno.
«L’Olimpico conta più di San Remo, è il trionfo più bello della mia vita. Devo citare ancora mio padre: io allo stadio ci andavo perché mio padre aveva un bancone su cui si vendevano gadget di fronte alla curva Sud».

Quella dove hai suonato.
«E dove ho giocato a pallone con Maradona».

Che storia è questa?
«Credo fosse il 2008 ed io ero alla mia prima partita con la Nazionale cantanti, Diego Armando era sceso in campo con noi e mi passò la prima palla: la lisciai clamorosamente, lui non riusciva a credere che si potesse essere così imbranati».

Non sarai un grande calciatore ma all’Olimpico sarai andato spesso ad applaudire Totti. O sei laziale?
«No, in realtà sono appassionato di calcio, ma non sono un tifoso, a parte una storia d’amore per il Frosinone. Allo stadio ci sono andato per vedere Vasco Rossi, Luciano Ligabue, Bruce Springsteen... Ecco, sono salito sul loro stesso palco, mica male, no?».

Mica male sì, soprattutto oggi che, morto il disco, chi fa canzoni può guadagnare solo con i live.
«È una questione delicata, ci sono ragazzi a cui bastano due singoli e fanno un doppio Palalottomatica, io ci ho messo vent’anni a farmi prendere sul serio, a motivare qualcuno a pagare un biglietto per vedermi a vedere, ci sono voluti otto album, dieci se conti i live. Per vent’anni ho campato di feste di piazza, ho fatto il mio primo tour con pubblico pagante a 41 anni. E credo che sia un bene tutto questo, perché il successo troppo veloce brucia, non impari a gestirlo. Sono felice di vedere il rinnovamento nelle classifiche italiane, è normale che i ragazzi vogliano ascoltare la voce, le emozioni e le storie dei loro coetanei, ma, se sali in alto troppo velocemente corri il rischio di bruciarti le ali proprio come Icaro».

Dall’Olimpico al tour, che concerto stai portando in giro?
«Lo stesso dello stadio, solo senza tutti quegli ospiti: ognuno è impegnato con i suoi show, però quando possono mi raggiungono, soprattutto Ermal e Fiorella Mannoia».

Ma dopo Sanremo e l’Olimpico quale è il prossimo traguardo?
«Voglio diventare come Liga e Vasco Rossi».

Hai detto niente. Ma in che senso?
«Per me conta il palco, voglio passare la vita in tour, voglio pensare alla mia carriera in termini di live: come loro».

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