Eurovision 2022, i Maneskin tifano Ucraina: «Sarebbe un bel messaggio»

Eurovision 2022, i Maneskin tifano Ucraina: «Sarebbe un bel messaggio»
di Andrea Spinelli
Sabato 14 Maggio 2022, 10:00 - Ultimo agg. 20:08
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«Emotion is promotion» dicono gli inglesi. E i Måneskin approdano stasera alla finalissima dell'«Eurovision song contest» proprio per ravvivare i sentimenti di un anno fa, quando «Zitti e buoni» li portò sul tetto d'Europa, trasformandoli di lì a qualche mese in un fenomeno globale. Presenteranno il nuovo singolo «Supermodel», anche se la notizia è la presenza dei quattro (forse con una cover) nella colonna sonora dell'attesissimo film su Elvis Presley di Baz Luhrmann. «Non permettiamo a nessuno di mettere bocca in quel che facciamo; in studio ci siamo solo noi», avevano giurato lo scorso ottobre in conferenza stampa da Berlino. Si sono rimangiati la parola, se è vero che in «Supermodel», oltre a citare più o meno apertamente i Red Hot Chili Peppers e Nirvana di «Smells like teen spirit», ricorrono alle munifiche arti di volponi dello starsystem californiano come Justin Tranter, Max Martin, Rami Yacoub e Sylvester Willy Silversteen oltre che alla produzione dello stesso Martin, di Rami Yacoub e di Sly, hitmaker già al servizio di Britney Spears, Dua Lipa, One Direction, Justin Bieber. Re Mida del pop, non proprio rock and roll hero, come in rete si lamentano alcuni fan: «Nessuno ci scrive le canzoni. Le produzioni internazionali o il confronto con altri non ci ha portato in un'altra direzione rispetto a quella che volevamo», rispondono loro, anche se Martin & Co sono tra gli autori del brano.

«Quel fuck Putin urlato sul palco del Coachella lo ripeterei tutti i giorni della mia vita», insiste Damiano, che girando due giorni fa il video di «Supermodel» a Londra si è pure slogato una caviglia e ora gira con la stampella: «Quella in Ucraina è una guerra ingiustificata e ingiustificabile in cui non esistono grigi e Putin un dittatore, un tiranno.

Come personaggi pubblici abbiamo un potere enorme: la tendenza a essere sempre neutrali per non perdere o guadagnare pubblico la trovo antiartistica, paracula». Stasera però, il quartetto romano lascerà che siano gli artisti ucraini stessi, i Kalush - favoriti alla vittoria - a farsi sentire: «La loro voce è più autorevole della nostra. La loro vittoria sarebbe un bel messaggio di sostegno». 

Con la discesa in campo dei cosiddetti Big Five, i bretoni Alvan & Ahez per la Francia, Malik Harris per la Germania, Mahmood & Blanco per l'Italia (le loro quotazioni sarebbero in discesa), Sam Ryder per il Regno Unito, Chanel per la Spagna, si completa il quadro dei pretendenti al posto in palio nell'europaradiso di questa finalissima, al via col set della Repubblica Ceca.

In scaletta anche un medley per i conduttori Laura Pausini e per Mika, Samantha Cristoforetti in collegamento dalla stazione spaziale, il progetto Rockin'1000 con una versione collettiva della lennoniana «Give a peace a chance» registrato nei giorni scorsi in Piazza San Carlo e una Gigliola Cinquetti che più in forma non si può: «Vincere nel giro di pochi mesi Festival di Castrocaro, Sanremo ed Eurovision song contest è stato il mio triplete», ricorda la cantante veronese, 74 anni, ripensando a quella «Non ho l'età (per amarti)» che nel 1964, a Copenaghen, la portò nel cuore d'Europa: «Noi ragazzini ci sentivamo il mondo fra le mani. Il tempo avrebbe fatto poi giustizia e fuoriclasse del passato sarebbero tornati ad essere tali, ma per un decennio giovani donne come me, Françoise Hardy, Sylvie Vartan, Catherine Spaak, Stefania Sandrelli rappresentarono una vera e propria ondata di rinnovamento. Affermavamo un modello di ragazza europea, quello della spilungona bellissima così diversa rispetto alla maggiorata tanto in voga a quei tempi. Una giovane donna che affermava la propria immagine in contraddizione totale con i canoni e i desiderata maschili, ma capace lo stesso di attirare ed egemonizzare i desideri». 

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Dieci anni dopo, a Brighton, ci vollero gli Abba di «Waterloo» per strapparle di mano il bis: arrivò seconda: «Credo che il quartetto svedese abbia poi inciso canzoni migliori di quella che mi sconfisse. Tant'è che nei miei concerti raccontando la storia di quella sconfitta in quel di Brighton preferisco interpretare la loro bellissima The winner takes it all. Faticando a pronunciare il mio nome, i critici inglesi mi chiamavano the italian lady dicendo che la mia canzone era too good to win preferendola ad altre più commerciali e per palati facili. Romano Prodi mi ha appena inviato il suo ultimo libro, una raccolta d'immagini che raccontano l'Europa tra cui c'è pure una mia foto di allora con gli Abba». Il pezzo s'intitolava «Sì» e la Rai spostò la messa in onda della rassegna di diverse settimane nel timore che influenzasse la consultazione referendaria sul divorzio: «Ci rimasi male», ricorda Giliola (così all'anagrafe), «ma rimasi male delle scelte Rai già in Inghilterra quando capii che l'azienda aveva un'unica preoccupazione: la mia vittoria. Nel caso, infatti, avrebbe dovuto accollarsi la produzione del Festival l'anno successivo e questa era considerata una specie di iattura. Evidentemente al tempo l'Eurovision in Rai era vissuto così». Oggi sono cambiate le cose, vedremo, se da questo «Esc 2022» usciranno canzoni destinate a durare come «Non ho l'età» o «Waterloo». 

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