Emma al Palapartenope: «Stasera a Napoli, poi torno per Pino Daniele»

Pino Daniele con Emma
Pino Daniele con Emma
di Andrea Spinelli
Lunedì 28 Maggio 2018, 13:48 - Ultimo agg. 13:51
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«Li conservo come se fossero il Sacro Graal» dice Emma, 34 anni compiuti venerdì scorso, parlando dei guantini di pelle ricevuti in regalo a Verona da Pino Daniele per il suo 28esimo compleanno. «Ero lì per i Wind Music Awards e, nonostante venissi premiata per il triplo platino di “Sarò libera”, nessun big voleva duettare con me perché ero quella del talent show di Maria De Filippi. Così la produzione mise in scaletta il mio intervento alle 19.15, perché tanto sarei dovuta solo salire sul palco ritirare il premio e andarmene; non proprio il massimo come regalo di compleanno, che cadeva proprio quel giorno. Il pomeriggio prima della registrazione dello show, però, ricevetti una telefonata di Pino: non so come, era venuto a conoscenza della cosa e aveva detto ai produttori “Emma sul palco da sola non ci va, piuttosto salgo io con lei perché se lo merita”. Cercai di dissuaderlo spiegandogli che andare in scena ancora col sole e l’Arena semivuota non era da lui, ma non gliene fregò niente. Il giorno dopo andammo in scena per cantare voci e chitarra “Io per lei” e “Quando”. Fu stupendo!». Ricordi virati nostalgia che Emma porta con se stasera sul palco del Palapartenope, per l’unica tappa campana del suo «Essere qui tour», nell’attesa di tornare a Napoli il 7 giugno al San Paolo nella mega celebrazione di «Pino è». «Canterò una “Io per lei” a due con la voce registrata di Pino e un po’ di magone al pensiero di quella sera in Arena, ma anche “Quanno chiove” in coppia con Giuliano Sangiorgi e il potente accompagnamento di James Senese e della band di “Nero a Metà”. Saranno momenti pazzeschi».

Perché sul palco di questo tour ha scelto di riprodurre un music club chiamato Exit?
«Perché ho voglia di verità e i locali ti danno l’opportunità di arrivare in presa diretta al pubblico. Fra l’altro, in questo show, lo faccio con musicisti di primissimo ordine quali Paul Turner e Derrik McKenzie dei Jamiroquai al basso e alla batteria, di Roberto Angelini e Giorgio Secco alle chitarre. Questo è probabilmente lo spettacolo più sincero e diretto che abbia mai prodotto, mi rappresenta artisticamente e umanamente e per me è un modo per tastare con mano tutto il lavoro fatto in questi due anni».

Come già Lady Gaga nell’«ArtRave tour» di quattro anni fa, si cambia d’abito sulla scena un paio di volte.
«Ogni cambio mi fa entrare in un personaggio diverso e il pubblico segue ogni momento della trasformazione. Lo faccio per mostrare cosa accade nel retropalco e ricordare che non ho niente da nascondere a nessuno».

Ne è passato di tempo dalle Lucky Star, il suo primo gruppo formato in un talent show.
«Già, lo ricordo come un momento bello della mia vita, perché ero giovanissima, scapestrata, ribelle; una ragazza scappata di casa con tutte le sofferenze di chi si scopre artista e non sa da che parte cominciare a costruire la sua vita. Con un padre che, per proteggermi, mi diceva; ma dove pensi di andare?».

Al tempo ce l’aveva già un mito?
«Sì, lo stesso di ora: Vasco. Per me la musica è Vasco. Credo di essere destinata a Vasco. A volte penso di fare questo mestiere solo per arrivare a condividere un momento d’arte pura con lui. Potessi solo parlargli per cinque minuti da sola davanti ad un bicchiere, sono certa che troverei il modo di farmi apprezzare per quel che sono».

È stata da poco per lavoro in Giappone e a Las Vegas. Ma qual è il suo viaggio dei sogni?
«L’Africa nera. Con lo zaino in spalla perché non amo i viaggi comfort, ma preferisco quelli spirituali. Da persona paranoica, molto ipocondriaca, che ha paura di tutto, mi piace l’idea di un viaggio capace di tirare fuori i mostri che mi porto dentro».

Cominciando da...?
«Dalla paura di morire. Sì, ho una tremenda paura di ammalarmi. Per strada tutti vogliono baciarmi e io spesso mi scanso, non perché provo fastidio, anzi, ma perché ho paura dei bacilli. Mio padre lavorava al pronto soccorso e, a forza di responsabilizzarmi sui rischi della salute, m’ha un po’ traumatizzata».
 

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