De Simone-D'Angelo: CantaNapoli salvata da un barbiere

De Simone-D'Angelo: CantaNapoli salvata da un barbiere
di Donatella Longobardi
Giovedì 12 Gennaio 2017, 15:21
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«La canzone napoletana? Rappresenta la crisi culturale di una grande nazione diventata provincia dello Stato italiano quando alla lingua napoletana venne data la connotazione di dialetto». Non le manda a dire Roberto De Simone dall'alto dei suoi 83 anni, protagonista assoluto ieri sera al Trianon in occasione della presentazione del disco «Ammore busciardo» da lui ideato e curato in base alla voce straordinaria di Alfredo Napoletano, il suo barbiere, definito dal maestro l'ultimo posteggiatore.

Folla di fan e appassionati hanno applaudito l'anziano musicologo sollecitato dal direttore artistico del teatro di Forcella, Nino D'Angelo, a tornare a lavorare in questo spazio da lui inaugurato con il Viviani di «Eden Teatro»: «Fate qualcosa con noi che vi vogliamo bene in un teatro dove vi piace lavorare, Napoli aspetta ancora tante belle cose da voi», ha detto D'Angelo al termine dell'incontro moderato da Alessandro Pagliara dell'università di Parma mentre Lina Sastri provava in sala il nuovo show. «Per me incidere un disco di musica classica napoletana era un sogno, farlo poi con De Simone è stata una cosa straordinaria», ha raccontato don Alfredo, un passato come cantante per feste di piazza e matrimoni con Vincenzo D'Onofrio, da sempre una bottega piena di clienti famosi da Sergio Bruni a Eduardo De Filippo a Vincenzo Salemme e lo stesso De Simone. Il quale, quando lo sentì cantare, capì subito di trovarsi di fronte ad un fenomeno vocale rarissimo «in via di estinzione». E decise di realizzare questo album con undici brani (da «Serenata napulitana» a «Desiderio», «'E trezze e Carulina» e «Core signore») inciso con la Zeus record e la partecipazione attiva di due musicisti come Raffaello Converso e Antonello Paliotti, qui straordinariamente nelle vesti di chitarrista e mandolinista.

«Non ho fatto alcun intervento sul suo modello di canto, ma abbiamo lavorato solo sullo stile dell'accompagnamento che, in questi casi, presenta molte difficoltà. Il chitarrista ha bisogno di molta esperienza derivata dalla pratica, io ho solo raccomandato a Converso di seguire la voce lasciando al canto espressione libera e lui lo ha fatto con una docilità esemplare imparata negli anni al fianco del padre Pasquale e al Trio Convers», spiega il maestro De Simone, che ha inserito il disco nel lavoro di scrittura del suo nuovo atteso libro per Einaudi sulla canzone napoletana. Un lavoro pronto a scompaginare molte certezze circa la tradizione. Una tradizione nata negli anni Ottanta dell'Ottocento quando, entrato Garibaldi a Napoli, nacque il fenomeno delle «canzonettiste»: «Erano un gruppo di prostitute dell'Immbrecciata che indossavano camicie rosse, sette gonne diverse e avevano i capelli tagliati come quelli dei maschi. Inventarono uno stile tra voce naturale e spinte sopranili che eseguivano con una gestualità sfacciata ma innovativa da scapigliatura musicale». Un fenomeno legato alla vocalità che s'arresta nel dopoguerra, negli anni Cinquanta, quando nei ristoranti come D'Angelo o la Zi' Teresa si esibivano gli ultimi cantori di strada e il festival della canzone trasforma la melodia napoletana «da musica di genere a musica leggera».
«Scarpetta? Le sue produzioni e più tardi quelle di De Filippo, facevano riferimento non alla lingua napoletana nazionale, quella colta che affondava le radici in Basile e Cortese, ma nella lingua parlata dal popolo», sostiene il musicologo raccontando come proprio il brano che dà il titolo all'album sia stato al centro di una sceneggiata dalla quale Eduardo «rubò» l'idea di «Napoli milionaria!» con il finto morto su un carico di merce di contrabbando per evitare che la polizia lo sequestrasse. De Simone sfata anche il mito secondo cui D'Annunzio abbia composto «'A vucchella» a un tavolino del Gambrinus: «Era un altro bar, in galleria, di fronte alla barberia di un tale De Francesco, nipote del barbiere-cantante conosciuto col nome di o Zingariello, che incantò Wagner con l'esecuzione di Cicerenella durante il suo soggiorno a Napoli tanto che il compositore lo portò con lui in Germania». La sfida tra D'Annunzio e Ferdinando Russo, invece, ci fu. «E D'Annunzio che era un fine letterato scrisse un testo bellissimo, tutto fatto di diminutivi tipici della lingua napoletana», racconta il maestro che nell'occasione ha composto una trascrizione per mandolino del brano facendolo aprire dal motivo della serenata del «Don Giovanni» di Mozart: «Era un riferimento colto alla musica popolare, d'altronde anche grandi come Stravinsky o Bartòk lo hanno fatto».
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