Quando De André tradusse il non ancora Nobel Dylan in napoletano

Fabrizio De André
Fabrizio De André
di Federico Vacalebre
Domenica 16 Ottobre 2016, 22:37 - Ultimo agg. 22:40
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C’è anche un Dylan in napoletano, quello che Fabrizio De André, già traduttore di «Desolation row», azzardò in «Avventura a Durango», brano scritto da sua Bobbità con Jacques Levi per l’album «Desire», uno dei più venduti della sua discografia.
«L’originale era bilingue», spiegava l’amico fragile Faber, «in inglese e in uno spagnolo maccheronico, quest’ultimo usato per raccontare l’attraversamento del confine di una coppia in fuga nel deserto. Lui ha ucciso un uomo in un’osteria, non sappiamo perché, forse per amore, forse... Dovendo trovare un equivalente linguistico ho scelto il dialetto di Eduardo e Di Giacomo, anche qui corrotto, spruzzato di una sorta di abruzzese, quasi fosse un gramelot meridionale», spiegava con gusto il cantautore che considerava la città porosa sua patria adottiva dopo Genova e la Sardegna: «Mi serviva una lingua, e il napoletano è lingua e non dialetto, che avesse la giusta sonorità, ma che fosse anche adatta a quella corsa sul confine. Il napoletano era perfetto, dava il senso della corsa contro il tempo, della lingua non dico dei fuorilegge, ma dei senza legge, di chi sa sfidare - per amore, per rivolta ma anche per quella sorta di naturale anarchia che si chiama cazzimma - l’ordine costituito. Come quel cowboy e la sua donna a cavallo verso Durango».
Tradotto con la complicità di Massimo Bubola, «Avventura a Durango» suona così: «Nun chiagne’ Maddalena/ Dio ci guarderà/ e presto arriveremo a Durango/ Strigneme Maddalena/ ‘stu deserto fernerrà/ e tu potrai ballare ‘o fandango». Un colpo di fucile interrompe, probabilmente la fuga, non la vita della traduzione, ripresa recentemente dal vivo da Enzo Gragnaniello e Nello Daniele, a sottolinarne la napoletanità adottiva, oltre che dallo stesso Bubola su disco.

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