«Dopo due anni di viaggi in giro per il mondo che mi hanno portato da spettatore negli stadi e nelle arene in cui si esibivano i più grandi artisti internazionali, da Beyoncé a Sia, passando per Ed Sheeran, Rihanna, i Culture Club, tutta gente che non ha paura di osare, mi piace pensare a questo mio spettacolo come ad un ibrido completamente folle in cui Drake incontra Luigi Tenco senza consentire, però, alla tecnologia di soffocare la magia della musica o della voce», azzarda: «Se il pop oggi si prende gli stadi è perché, come il rock, porta avanti una rivoluzione: quella di chi utilizza il suo linguaggio per esprimere idee, giudizi, sentimenti che non saprebbe altrimenti tirar fuori in altre forme. Per questo sento il dovere di prendere una posizione forte e di andare avanti esattamente come due anni fa quando stavo per iniziare il tour nei palazzetti e avvennero i fatti del Bataclan».
Il palco «televisivo», caratterizzato da un caleidoscopio di schermi protesi tra verso il pubblico compreso un soffitto ad alta definizione del peso di 14 tonnellate sospeso sulla testa del cantante, sembra anticipare le sue prossime mosse. «Sono anni che i direttori di rete contattano il mio manager proponendogli uno spettacolo televisivo», confessa: «Io mi avvicino a queste offerte sempre con grande curiosità sperando che loro mi diano un’idea, che però non arriva mai perché sono loro a volerla da me. Nella musica riesco ad avere idee sempre nuove, mentre nella tv, non conoscendola abbastanza, no. Virginia Raffaele è un’artista molto creativa, sa stare davanti alla telecamera perché conosce il mezzo e sa scrivere per quel linguaggio. Se l’affiancassi nella realizzazione di un disco, saprei cosa farle fare, per questo nel momento in cui accettassi l’offerta della tv avrei bisogno di qualcuno capace di fare lo stesso con me». In scaletta c’è anche una «Mi sono innamorato di te» struggente e sofferta come quella proposta quattro mesi fa al popolo del Festival di Sanremo, conclusa da Tiziano inginocchiandosi davanti al ricordo di Tenco. Sostenuto da una band di sei elementi alle dipendenze del pianista Luca Scarpa, Ferro trova nell’acqua che gorgoglia sugli schermi e lo investe nel finale di «Potremmo ritornare», mentre abbassa il capo e allarga le braccia come il Cristo del Corcovado, la metafora liquida di questo nuovo spettacolo atteso allo stadio Arechi di Salerno il 12 luglio, in un percorso che per ora vale 435.000 biglietti venduti: «L’acqua non è solo un elemento fisco, ma emotivo, rappresenta l’irregolarità e la mutevolezza di una carriera come la mia. Non ho mai fatto un disco uguale all’altro e non ho mai cavalcato soltanto un genere musicale. Mi piaceva l’idea di fare qualcosa di completamente inatteso, di stare scomodo sul palco: quando mi sento comodo penso di essere meno creativo».
Al pubblico di Lignano Sabbiadoro ha detto: «In un momento come questo, essere qui ha un significato diverso, siete un esempio.
Non chiudetevi in casa». Poi, ai giornalisti: «Gli attacchi non sono casuali, sono mirati a insinuare il terrore. Chi combatte la musica, combatte la libertà. È successo, succederà ancora, ma non ci si deve fermare». A fine tour tornerà in America, per scrivere nuove canzoni, forse anche per decidere di diventare padre: «A 37 anni mi sento pronto. E sento il bisogno di dedicarmi a un bene superiore, di fare del bene. L’adozione? Può essere. L’unica cosa che mi terrorizza è l’idea di far vivere questo bambino bersaglio dei paparazzi». ©