«Con Daniele progettavamo
un tour in coppia per il 2016»

«Con Daniele progettavamo un tour in coppia per il 2016»
di Andrea Spinelli
Sabato 22 Aprile 2017, 10:42
3 Minuti di Lettura
 Meglio soul. Mario Biondi torna in concerto all’Augusteo stasera con uno spettacolo malato di soul e di jazz che ha i colori forti dell’antologia uscita in autunno. «In repertorio abbiamo una trenta brani, con tante hit e una celebrazione particolare di “If” perché è l’album più trascurato dalla mia ultima raccolta “Best of soul”» spiega Biondi, al secolo Mario Ranno.

Lei ha detto che il soul popolare americano ha quasi gli stessi caratteri somatici della musica napoletana e che Finizio è soul come Brian McKnight. Sicuro?

«Da appassionato della musica partenopea non posso non accorgermi che perfino un mostro sacro come Stevie Wonder è legatissimo a certe atmosfere, secondo me anche alla produzione neomelodica. Si avverte chiaramente in molte sue recenti composizioni. Credo che gente come lui o come McKnight abbiano avuto l’intelligenza di prestare attenzione ad una musica popolare caratterizzata da quella vena di autenticità che non può non essere presa a stimolo per comporre e arrangiare. Sal Da Vinci, Gigi Finizio, lo stesso Gigi D’Alessio, hanno fatto della melodia un marchio di fabbrica con poco o nulla da invidiare a quella degli americani».

Quando faceva pianobar frequentava la musica partenopea?

«Venendo da una famiglia di musicisti - mia nonna cantava alla Eiar già negli anni ‘40 mentre mio padre suonava in gruppi progressive - sono cresciuto nella musica e in particolare della canzone popolare siciliana e campana. Così, quando facevo le serate, sapendo che ero di radici sudiste c’era sempre chi mi chiedeva qualcosa di meridionale. E io attaccavo classici come “Malafemmena” o “Reginella”, “Io ce credo”».

È vero che nel 2016 aveva progettato un tour a due con Pino Daniele?

«Sì. Nella mia vita ho avuto tre riferimenti fondamentali: mio padre, Al Jarreau e Pino Daniele. Quello che sono lo devo innanzitutto a loro, quindi, è facile immaginare il rispetto quasi filiale che avevo per Pino. Andare in tour con lui sarebbe stato come farlo con George Benson, l’interplay con lui e la sua chitarra me lo sognavo la notte. Avevamo lo stesso management, progettavano di fondere le rispettive band, per creare qualcosa di speciale. Mi sarebbe piaciuto moltissimo duettare con lui “Questa primavera”. Anche senza risalire ai superclassici dei primi lp, in “Che Dio ti benedica” ci sono pezzi straordinari come “Sicily”».

Pino, Al Jarreau, Maurice White. Qual è stato per lei lo strappo più doloroso di questi anni?

«Oltre ad essere un mio mito, Al è stata una delle persone che mi hanno dimostrato più affetto e amore; ringrazio il cielo di esserci riuscito a duettare “Light the world” prima che fosse troppo tardi. L’ho visto spegnersi lentamente, deambulare in carrozzella e sapevo che prima o poi se ne sarebbe andato, mentre Pino no. Nonostante gli acciacchi e quel cuore in disordine, pensavo avrebbe campato cent’anni».

Il suo prossimo album guarda al Brasile.

«Sì sono in contatto con produttori e arrangiatori di laggiù. Nelle prossime settimane andrò a Rio a concretizzare il tutto. Il mio sogno? Collaborare con Ivan Lins o quel Jaques Morelembaum con cui ho già avuto modo di lavorare».

Con Max Greco è il produttore artistico del nuovo album di Marcella Bella.

«Siamo ormai in dirittura d’arrivo.
Uscirà a fine estate. Fra le canzoni c’è pure un nostro duetto. È un cerchio che si chiude: ho fatto una delle mie prime tournée importanti con il fratello Gianni nel ‘94. Sto lavorando anche con Serena Brancale, che canta con me in questo tour, e Moris Pradella, già cantante dei Quintorigo».
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