Chico Buarque e De Vito
cantaBrasile anema e core

Chico Buarque De Hollanda e Maria Pia De Vito
Chico Buarque De Hollanda e Maria Pia De Vito
Lunedì 15 Maggio 2017, 14:27 - Ultimo agg. 14:28
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Ma che bella coppia che sono Maria Pia e Ciccillo: lei, la De Vito, è la signora del canto jazz - ma non solo - italiano, lui Chico - Ciccillo in versione verace - Buarque De Hollanda, uno dei grandi della musica popular brasileira. In «Core/Coracao», appena uscito per Via Veneto Jazz/Jandomusic, Maria Pia canta e traduce i capolavori di Chico/Ciccillo, che, conquistato dall’amica napoletana, rende il favore duettando con lei in «’O piccerillo» («O meu guri») e «Todo sentimento». Una sfida da far tremare i polsi, a partire dall’iniziale «’A costruzione», ovvero «Construcao», così piena di giochi di parola da Oluipo e allitterrazioni da aver reso in passato difficile, se non impossibile, la versione italiana a uno come Sergio Bardotti, che sul pezzo lavorò e rilavorò, per Anna Identici, la Vanoni, Jannacci: l’originale è basata su due accordi, ha un andamento malinconico-incazzato, un crescendo fiatistico schizoide, versi che chiudono sempre nella stessa maniera (una parola di tre sillabe con l’accento sulla prima). La De Vito inizia da una vecchia tammurriata incisa anche dalla Nccp, piano piano entra in medias res, prima solo con la voce, poi seguita dagli straordinari compagni di viaggio: l’inglese Huw Warren al piano, l’honduregno-palestinese-brasiliano Roberto Taufic alla chitarra e gli arrangiamenti, gli italiani Gabriele Mirabassi al clarinetto, Roberto Rossi alle percussioni e l’ensemble vocale Bournogualà. Parole antiche come «riggiola» e «intruppicai» sono grimaldelli per una traduzione/tradimento che traduce più che tradire: «Che bello, come suonano bene queste sfruculie», commenta Chico/Ciccillo, che il dialetto non lo maneggia benissimo, ma «due parole napoletane le conoscevo da sempre: anema e core. Maria Pia le ha e ce le mette tutte, oltre alla voce, sono sicuro che avrebbe affascinato anche Tom Jobim».
Perché Jobim, come Guinga («con cui e da cui tutto è cominciato»), Vinicius de Moraes, Egberto Gismonti sono tra i grandi coautori di queste perle preziose, colte e popolari, le radici nel Brasile, ma le ali oltre il samba-canzone. Ali che la vocalista usa per volare «rispettando non solo il senso, ma anche il suono del testo originale, sia pur con qualche licenza poetica concessami con il sorriso sulle labbra da un artista innamorato della pura musicalità della mia lingua natia».
Non ci sono «La banda» e «Oh che sarà», unici esempi del canzoniere hollandiano ad essere entrati nell’immaginario nazionale del Belpaese, ma ci sono «Voce voce» («E dimme»), «A volta do malandro» («’O ritorno d’’o jammone»)  e «Olha Maria» («Curre Maria»), ci sono storie di passione e ordinari drammi di sopravvivenza: «Qualche brivido, una furtiva lacrima», confessa l’uomo di Rio de Janeiro, «mi sono scappate nell’ascoltare la storia dello scugnizzo carioca in cui è stata trasformata ”’O mei guri”: mi sembra di vederlo correre sotto il Vesuvio». La distruzione di un amore scorre come in un film neorealista in «Facimmo ampresso» («Trocando em miudos»), «Teresinha» diventa «Teresella», «Agua e vinho» si fonde a «Voce ‘e notte», affinità e divergenze di cultura e melodia vengono esaltate sapendo che la diversità è valore e non peso. I tasti di Warren sono la base sicura di un canto lirico, rispettoso dell’arte della canzone come delle proprie origini jazz, ma mai stupidamente prigioniero della routine che spesso si coniuga con la prima né del bisogno di improvvisare ad ogni costo che accompagna il secondo.
Due sole, davvero, le critiche possibili: l’assenza delle traduzioni nel libretto del cd e di un concerto di presentazione a Napoli dopo i successi a Roma e Milano. Care istituzioni, cari manager, non sarebbe il caso di organizzarne uno, magari approfittandone per dare la cittadinanza onoraria al querido Chico/Ciccillo che dice: «Credo che tutte le grandi canzoni brasiliane andrebbero tradotte in napoletano»?
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