Caparezza, il tour di "Museica" al via da Bagnoli: ogni canzone un quadro

Michele Salvemini, in arte Caparezza
Michele Salvemini, in arte Caparezza
di Federico Vacalebre
Venerdì 13 Giugno 2014, 16:51 - Ultimo agg. 22:00
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Una galleria d’arte con vista sul mare, sotto le stelle di Coroglio: quanto promette per stanotte Caparezza, che ha scelto l’Arenile Reload per aprire il tour di Museica, l’ultimo album, praticamente un concept sulla sua attrazione per le arti figurative, da Giotto beat alle Teste di Mod, ogni brano un quadro, una suggestione pittorica, partendo dall’incipit di Canzone all’entrata, dove il pubblico in fila quello per un museo, pi che per un concerto.

Ma allora, Michele Salvemini in arte Caparezza, che concerto vedremo? Museale?

«No, museale proprio no, almeno non nel senso di cosa morta che in Italia si dà ai musei. Ma uno show, parola più adatta, in sintonia con il mio disco sin dalla disposizione sul palco. Non voglio svelare troppo, ma per ogni brano lo spettatore si troverà davanti un’opera d’arte. Diciamo che ho portato alle estreme conseguenze, o comunque viaggio verso quella direzione, la teatralità del mio fare musica. Avevo pensato anche a qualcosa di didattico, che potesse avvicinare chi mi ascolta alle dinamiche espressive e le magie dell’arte, ma fare il professorino di storia dell’arte non mi interessava e così ho rinunciato all’idea. L’arte, quella sonora come quella che si basa sulle immagini, pittoriche, scultoriche, performative, cinematografiche, non va spiegata, analizzata, descritta. È un linguaggio alternativo, non puoi decrittarla con il linguaggio ufficiale, puoi solo parlarlo, ascoltarlo, quel linguaggio».

E se non lo capisci? Se ti senti spaesato come l’Alberto Sordi delle vacanze intelligenti alla Biennale d’arte moderna?

«Sorridi, come Sordi, o fai quello che ti senti. Io parlo d’arte come forma espressiva, come mezzo di comunicazione, non sto parlando della sua mercificazione, del mondo per happy few dei galleristi e dei collezionisti. Io parlo di Van Gogh, non delle speculazioni commerciali: non ho ancora capito se era lui troppo in anticipo sui suoi tempi o i suoi tempi troppo in ritardo su di lui, ma nessuno lo capì. Nella pittura, poi, c’è questa cosa da jettatori, che funziona al contrario di qualsiasi altra branca espressiva: un’opera vale più quando sei morto, quasi a tirarti i piedi».

Quindi Capa se fosse un pittore sarebbe Van Gogh?

«Sarebbe bello, ma lui era un fuoriclasse, io un intrattenitore in rima, un saltimbanco sudista. Se proprio dovessi scegliere non dico chi essere, ma dove posizionarmi direi che mi sento dadaista per propensione alla provocazione e surrealista perché la provocazione non rimanga fine a se stessa».

Tra i fans di «Museica», subito premiato da hit parade e disco d’oro, c’è Francesco De Gregori, che se n’è detto entusiasta, sottolineando anche come la tua opera sia indefinibile, né da rapper, né da cantautore.

«Il plauso del principe mi inorgoglisce più di mille premi, ho sempre pensato che lui in Italia fosse tra i due-tre migliori scrittori in musica. Certo che non sono un rapper, anche se mi esprimo in rap, certo che non sono un cantautore, anche se sono cresciuto con De Gregori e De André, come con il rap, e con il rock, peraltro. Qualcuno ha scritto che c’è la canzone italiana e poi c’è l’anomalia Caparezza. Ecco, nei panni di anomalia mi sento bene».

Ti hanno chiamato sul palco dei David di Donatello in una serata che ha destato polemiche, e ascolti più alti del solito in tv, per la conduzione goliardico-giovanilista di Ruffini? Che impressione ti ha fatto il mondo del cinema, che pure hai frequentato in qualche modo, almeno al fianco di Zalone?

«Quella con Checco sì che era una goliardata. Ho accettato volentieri l’invito di essere uno dei premiatori, ma ho vissuto pochissimo e male la serata. All’arrivo mi sono trovato bersagliato dai flash dei paparazzi sul red carpet, una cosa a cui non sono abituato e che capisco pochissimo. Così mi sono chiuso nel camerino e ho atteso il mio momento. Tutto questo, comunque, c’entra poco con il cinema».

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