Cannes, la Napoli vista da Di Costanzo

Cannes, la Napoli vista da Di Costanzo
di Titta Fiore
Martedì 23 Maggio 2017, 09:26
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Inviato a Cannes

Dice il giurato Paolo Sorrentino: «Napoli è il luogo delle mie emozioni e prima o poi ci farò un film, la racconterò come una città aperta sul mare, molto vitale, dove la gente è ancora capace di farsi sorprendere dalla vita e ogni giorno si mette in gioco». Dice Leonardo Di Costanzo, in concorso alla Quinzaine des Realizateurs con «L'intrusa», una bella storia di accoglienza e di inclusione sociale ambientata in un centro per ragazzi a Ponticelli: «Uso Napoli per raccontare il mondo, perché le periferie sono uguali dappertutto, ma Napoli ha la generosità di mostrarsi senza coperture, per questo il dramma, da noi, sembra più evidente che altrove». Con i suoi «mille culure», le sue bellezze nascoste, la sua sfrontatezza metropolitana Napoli è una tentazione forte per ogni regista. Non sono solo le origini partenopee a rappresentare l'irresistibile richiamo, come nel caso di Sorrentino e di Di Costanzo, ischitano giramondo che ora ha deciso di tornare su strade più note e vicine. È il carisma di una cultura, lo sperdimento dei sensi, la violenza delle contraddizioni a comporre un mix esplosivo al cui fascino è difficile sottrarsi (a proposito, «Napoli velata», il film che Ferzan Ozpetek ha cominciato a girare da qualche giorno per vicoli e palazzi del centro antico, al Mercato di Cannes va già come un treno). E «L'intrusa» uscirà presto in Francia, dove il regista ha vissuto per venticinque anni e dove ben conoscono il suo talento di documentarista e di narratore.

Di Costanzo è l'autore del magnifico «L'intervallo» e spesso si è interessato, nei suoi documentari, a quelle figure di mediazione sociale capaci di raccontare da un punto di vista privilegiato una realtà complessa: un insegnante in una scuola di una periferia degradata, un sindaco leghista di una comunità dominata da una mentalità mafiosa. La storia de «L'intrusa» è ambientata nella Masseria, un centro associativo e ricreativo che si occupa di infanzia a rischio, un'isola di solidarietà che ha nella fondatrice Giovanna (l'attrice e coreografa Raffaella Giordano) il punto di riferimento e il motore instancabile. Il regista le chiama, figure come quelle di Giovanna, eroi moderni, perché con il loro lavoro prezioso e misconosciuto suppliscono alle carenze istituzionali e sperimentano, con coraggio e determinazione, forme diverse di convivenza in luoghi di frontiera, insegnando ai ragazzi il significato di parole pesanti come tolleranza e condivisione. Alla Masseria arriva un giorno una donna con i due figli bambini, moglie di un camorrista arrestato per un delitto efferato. Cerca un rifugio e un'alternativa di vita per i figli e lo fa alla maniera ispida di un animale ferito. La sua presenza nella piccola comunità rionale è perturbante, va accolta ora che chiede di sottrarsi a un destino già scritto o va cacciata per difendere l'integrità dei buoni? «Io sono sulla stessa linea di Giovanna: bisogna andare oltre le apparenze e aprirci all'accoglienza, anche quando tutto sembra andare in direzione ostinata e contraria» commenta il regista. «L'intrusa è un film con la camorra, non sulla camorra. Un film su chi ci convive e giorno per giorno cerca di rubarle terreno, persone e consenso sociale senza essere né un poliziotto né un giudice. Ma finisce per essere anche una storia sul difficile confine tra paura e accoglienza, tolleranza e fermezza, temi capitali del nostro presente». E così viene accolto, il film a Cannes, come una riflessione su problemi reali che appartengono a tutti. «Mi ha colpito che nessuno dei giornalisti stranieri mi abbia chiesto di Napoli alla maniera di Gomorra, con la criminalità, le stese e tutto il resto. Significa che il film ha raggiunto lo scopo, e che parlando di un piccolo centro alla periferia di un quartiere difficile è riuscito a diventare una metafora dei problemi dell'Occidente. È stato bello».

Tra una proiezione e una riunione di giuria, Paolo Sorrentino pensa al film che comincerà a girare in estate su Silvio Berlusconi. E ai francesi del festival ancora impressionati dal «Caimano» di Nanni Moretti, spiega che si occuperà del Cavaliere perché, da italiano, gli piace raccontare gli italiani. Anzi, gli arcitaliani come il Divo Giulio e come Silvio B. «Berlusconi», dice, «è un archetipo dell'italianità e attraverso di lui posso parlare di un intero Paese». Nei panni dell'ex premier ci sarà il vecchio amico e complice Toni Servillo, già alle prove di trucco e parrucco. Come sono i loro rapporti sul set? «All'insegna della leggerezza e dell'ironia, tra noi c'è una grande sintonia che cerco di trasmettere a tutti, durante le riprese, per lavorare con tranquillità e senza screzi. Di solito evito di far sentire agli attori il peso della lavorazione, l'idea di far parte di un progetto ambizioso può renderli ansiosi ed io preferisco alleggerire la pressione». Fare il giurato gli piace molto, non c'è paragone con lo stress del concorso e poi Almodovar, come presidente, dà il meglio di sé: «È forte, impegnato e attento al destino dei film e dei registi».
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