Dylan, ecco i nastri inediti degli scantinati di Woodstock

Bob Dylan con The Hawk, poi the Band, nel 1966 a Big Pink
Bob Dylan con The Hawk, poi the Band, nel 1966 a Big Pink
di Federico Vacalebre
Martedì 16 Settembre 2014, 16:41 - Ultimo agg. 17:06
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Eccolo, il santo Graal dylaniano, i nastri da cantina più famosi e ricercati della storia del rock. «The basement tapes complete», undicesimo volume delle «Bootleg series», è un ritorno al passato, un passato misterioso, quello che vide, dopo l’incidente motociclistico a Woodstock, Mister Tamburino rintanarsi in una casa da quelle parti, con The Hawk, pronti a trasformarsi in The Band, la leggendaria formazione di «The weight».



Quelle session - oltre 150 brani - registrate da sua Bobbità un po’ per cercare se stesso e il futuro della propria musica, un po’ per motivi contrattuali, furono avvolte dalla leggenda: si disse che dovessero diventare materiale autorale per altri interpreti, ma in pochi - a parte proprio The Band con «Music from Big Pink» - vi attinsero, mentre molti furono i bootleg a diffonderle, a partire dal mitico «Great white wonder» del 1969, fino alla pubblicazione ufficiale del 1975 come doppio lp, «The basement tapes», appunto, sedici brani (di cui otto di Robertson & Co. senza il cantautore), accolti da unanimi cori critici trionali. Ora, dai nastri mono originali, meticolosamente restaurati, viene fuori - sarà sul mercato il 4 novembre - un box con sei cd, disponibile anche in tripla versione in vinile e doppia antologia su cd.



Era il 1966, Dylan era già stato «profeta» rivoluzionario acustico e poi «traditore» elettrico, quando, in luglio, un incidente motociclistico sembrò mettere a rischio la sua carriera. Scomparve e tacque, per riapparire con «l’aspetto severo di un profeta del Vecchio Testamento», scrissero David Dalton e Lenny Kaye e un sound, che oggi definiremmo «americana», o «delle origini», nato con la complicità di Robbie Robertson, Rick Danko, Richard Manuel, Garth Hudson e, più tardi, Levon Helm, rintanati con lui nel seminterrato di una piccola casa, ribattezzata Big Pink, a West Saugerties, New York. Ogni session era una sorpresa, c’erano canzoni nuove (tra cui i futuri classici «I shall be released», «The mighty quinn», «This wheel’s on fire», «You ain’t going nowhere»), cover, stornelli ironici e divertenti, blues, storie bibliche, folk.



Nella «red room», la stanza rossa nell scantinato di Big Pink, «quel che prendeva forma, mentre Dylan e la band giocherellavano con gli accordi, era qualcosa di più profondo, uno spirito che aveva a che fare con il piacere dell’amicizia e della creazione», spiegò Greil Marcus. In quelle emozioni hanno messo ora mano Garth Hudson e l’archivista musicale canadese Jan Haust per ripristinare il suono dei nastri in deterioramento. Ascolteremo finalmente in versione ufficiale, e in ordine cronologico di incisione, pezzi di Hank Williams e Johnny Cash, Peter Seeger e John Lee Hooker, Eric Von Schmidt e Curtis L. Mayfield.



Ma anche traditional, surreali omaggi ai maestri beat come «See you later, Allen Ginsberg», diverse versioni di «This wheels of fire» e «Queen the eskimo», jam sulle note di «Blowin’ in the wind», «If I were a carpenter», «Will the circle be unbroken».



Come se non bastasse, un supergruppo dylaniano e dylaniato ha intanto messo mano nello stesso tesoro per mandare nei negozi l’11 novembre «Lost on the river: the new basement tapes», sorta di sequel di quel capolavoro, rilettura di materiali inediti affidata dall’uomo di «Like a rolling stone» alla produzione di T-Bone Burnett che ha riunito intorno alla sua premiata chitarra gente del calibro di Elvis Costello, Jim James (My Morning Jacket), Marcus Mumford (Mumford & Sons), Rhiannon Giddens (Carolina Chocolate Drops), Taylor Goldsmith (Dawes) e Johnny Depp (alla sei corde in «Kansas city»).

«Quello che è venuto fuori durante quei giorni in studio è stato straordinario.



In ogni momento si poteva percepire la profonda generosità e il supporto di ognuno al progetto, emozioni che riflettevano la fiducia e la generosità dimostrata da Bob condividendo con noi quei brani», ricorda Burnett. Ad accompagnare l’uscita dell’album anche il docufilm «Lost songs: the basement tapes continued» di Sam Jones, che finalmente ci porterà anche con gli occhi dove finora eravamo stati solo con le orecchie e il cuore: «Quello era veramente un modo per registrare in modo tranquillo e rilassato nella cantina di qualcuno. Con la finestra aperta e un cane che gironzolava sul pavimento», spiegò una volta il camaleonte che introdusse l’arte nel juke-box.
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