Ottanta voglia di Angela Luce: «Mi godo la mia festa»

Angela Luce
Angela Luce
Sabato 2 Dicembre 2017, 19:34 - Ultimo agg. 19:54
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E poi, ogni tanto, Napoli si ricorda dei suoi figli, li festeggia come meritano. Succede raramente, che la città porosa sventola volentieri la bandiera identitaria, ma poi si distrae molto facilmente, come accaduto con Eduardo Di Capua, l'autore di «'O sole mio», «I te vurria vasa'» e «Torna maggio» per dirne solo tre, ricordato a cent'anni dalla scomparsa a Taranto e a Matera, ma non nella sua città. Succede, per fortuna, con Angela Luce, che domani compie 80 anni, portati invidiabilmente nel fisico come nella voce. E domani sarà festeggiata dal sindaco Luigi de Magistris, alle 17, nella Casina Pompeiana, custode dell'Archivio storico della canzone e, quindi, cornice simbolica più che adatta per fare gli auguri a una regina della melodia verace.
 

 

Che festa sarà?
«Ci saranno le istituzioni e chi mi è caro, ci sarà una torta, ci sarà Leonardo Barbareschi con la sua chitarra».
Ottanta voglia di cantare, allora, per dirla con il titolo di un fortunato album di Murolo?
«Proprio così, non potrei mai negare a chi ama il mio lavoro, ma in fondo anche a me stessa, lo sfizio di tre-quattro canzoni. In fondo, l'ugola regge, si è persino fatta più vellutata, perché sprecare un dono della natura?».
Scaletta?
«"Era de maggio", la canzone napoletana perfetta. "Ipocrisia", con il ricordo di quel secondo posto a Sanremo nel 1975. Una delle poesie che ho raccolto nel mio libro. E poi, naturalmente, "Bammenella" di Viviani: come potrei farne a meno?».
Tempo di bilanci? Di rimpianti? Di progetti?
«Progetti è difficile farne, non perché non ho idee o sfizi da togliermi, ma perché il mondo della musica va a rotoli, mo' sono morti anche i cd. Mi piacerebbe incidere un ultimo album, di classici internazionali che ho sempre amato, da "La via en rose" a "My way" e "Lilì Marlene", ma... serve un produttore, la casa discografica, chi scommette più su un'ottantenne, sia pure in forma? Peccato, ma... la gente mi ferma e mi chiede se sono un'immortale, come Tina Turner. A proposito, lei quanti anni ha?».
Solo 78. Qual'è il segreto della vostra eterna giovinezza?
«La fortuna. Voce, fisico, testa... posso ringraziare la mia famiglia, il cielo... Sono stata fortunata, avevo due talenti e li ho saputi far fruttare, lavorando con Pasolini e Avati per non fare un elenco infinito. Da autodidatta, con la licenza elementare, mi sono laureata all'università della vita, e dell'arte, con docenti, con maestri, con leggende, che si chiamano Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo, Nino Taranto e Totò».
Prima c'è la «Piedigrotta Bideri».
«Ero ancora Angela Savino, mancavano due mesi al mio quattordicesimo compleanno, ma ero già una signorinella con tutte le sue forme. Cantavo un motivetto a doppio senso, Zi' Carmili' e la trissavo ogni sera. Si' bella, si brava, bona urlava la platea, mentre dietro le quinte scalpitavano Nunzio Gallo e Aurelio Fierro».
Fatta la cantante bisognava fare l'attrice.
«Ci pensò Eduardo, che mi assunse senza nemmeno fare un provino. Diceva che ero una forza della natura. Quattro anni con lui sono stati davvero la scuola più importante. Ero una spugna, assorbivo bene, sapevo impadronirmi di quelle lezioni con visceralità».
Da tanti mattatori mai nessuna molestia?
«Quelli erano signori. E io ero Angela Luce, giovane, maggiorata, ingenua, ma non scema. Totò che mi baciava la scollatura in Signori si nasce inventandosi una gag all'istante era il principe della risata, il produttore che mi voleva portare a letto un porco».
Quale produttore?
«Uno importantissimo, dei tempi in cui Cinecittà era Cinecittà. È morto, non ne faccio il nome, non per difendere il suo onore, ma per rispetto di me stesso. Un regista mi aveva scelta per un ruolo, dovevo firmare il contratto, il mio agente mi mandò da sola, era complice. Il produttore mi mise la penna in mano, mi disse che poteva fare molto per me, rendermi una diva, però prima dovevamo andare a cena, poi a bere un whisky a casa sua... Sono qui per fare l'attrice, non la puttana urlai, stracciando il contratto».
Se ne pentì?
«Mai, dissi di no anche ad Achille Lauro e se ho sbagliato uomini - e molto ho sbagliato, escludendo Amedeo, morto di un brutto male - l'ho fatto per amore e non per calcolo. Se avessi avuto qualcuno dietro chissà dove sarei arrivata, ma... Preferisco tenermi il David di Donatello vinto per L'amore molesto e l'affetto del pubblico e sentirmi in pace con me stessa».
Come sta la Luce a ottant'anni?
«Abbastanza luminosa, qualche acciacco e tanta voglia di concedersi l'abbraccio della sua Napoli, di spegnere le candeline per accendere nuovi entusiasmi».
Rimorsi?
«Uno, grosso: avrei voluto un figlio, ma ho sacrificato la donna all'artista, l'amore al pubblico».




 

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