Avicii, ancora ignote
le cause della morte

Avicii, ancora ignote le cause della morte
di Andrea Spinelli
Sabato 21 Aprile 2018, 15:26 - Ultimo agg. 19:49
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Quando, ormai saranno dieci, se non vent'anni fa, con facile vaticinio si iniziò a scrivere che i dj erano le nuove rockstar, si pensava al loro impatto sulla cultura giovanile, ai loro set che stava rubando le platee, i megacachet e le groupie ai più tradizionali concerti. Non che le vite spericolate dei dj fossero destinate a soppiantare quelle dei rocker nella Spoon River musicale. Eppure è questo l'effetto che fa la notizia della morte, a Muscat, nell'Oman, di Avicii, star dell'edm, iniziali che stanno per electronic dance music. Svedese, all'anagrafe Tim Bergling, aveva solo 28n anni, appena uno in più dei caduti del celebre «club dei 27», l'età a cui sono scomparsi Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison, ma anche Robert Johnson, Kurt Cobain e Amy Winehouse.

Che cosa sia successo, come sia morto il dj, non si sa. Da un anno e mezzo aveva deciso di ritirarsi dalle scene. Timido e introverso, si sentiva stressato dalle notti in console, dalla vita da girovago del dancefloor. E così, giovanissimo e in piena ascesa, dopo un ultimo concerto ad agosto del 2016, aveva preferito continuare a dedicarsi solo alla musica in studio, da producer, capace di decidere al mixer come e cosa avrebbero ballato centinaia di migliaia di ragazzi in tutto il mondo, senza più voglia, però, di vederli ballare lì, a un metro da lui. «Noi tutti raggiungiamo un punto nella vita e nella carriera in cui capiamo cosa è più importante per noi. Per me è creare musica. È quello per cui vivo, quello per cui sento di essere nato», aveva detto. «La fine dei live, non ha significato la fine di Avicii o della mia musica. Sono tornato nella dimensione dove tutto ha avuto un senso: lo studio. Il prossimo passo riguarderà il mio amore nel fare musica per voi. È l'inizio di qualcosa di nuovo. Spero che vi piaccia tanto quanto me»: parole che sono ancora sul suo sito ufficiale, che promettevano un futuro di suoni, di groove, di beat, di remix. «Mi sono preso il tempo di guidare per gli Stati Uniti con i miei amici e collaboratori, solo per vedere le cose in maniera diversa», aveva scritto in una lettera aperta: «Mi ha veramente aiutato a rendermi conto che avevo bisogno di cambiamenti».

Ma quei «cambiamenti», quel «prossimo passo», Avicii, non li ha potuti fare. Nato a Stoccolma l'8 settembre 1989 è stato trovato ieri morto, a Muscat, capitale del sultanato dell'Oman. Difficile saperne di più, andare oltre lo stringato comunicato della sua portavoce, Diana Baron, che non fornisce dettagli sull'accaduto: È con profonda tristezza che annunciamo la perdita di Tim Bergling. La famiglia è devastata è chiediamo di rispettare la loro privacy in questo momento difficile», si limita a dire.

I siti della club culture si rimpallano la notizia e le ipotesi. Avicii beveva, lo sapevano tutto, in passato aveva sofferto di pancreatite acuta, in parte dovuta anche all'eccesso di bevute. Dopo l'asportazione della cistifellea e dell'appendicite nel 2014, aveva cancellato una serie concerti. Ma stava bene, o almeno così pareva, così credevano i fans che appena tre giorni fa si erano complimentati con lui per la nomination ai Billboard Music Award conquistata con l'ep «Avicii (01)», uscito nell'agosto 2017. Di premi, da alfiere della «edm» ne aveva già vinti diversi: due MTV Music Awards, un Billboard Music Award, oltre a due nomination ai Grammy.

Se n'è andato a 28 anni, chissà come, chissà perché, eppure aveva già alle spalle una lunga carriera, la musica era entrata nella sua vita da adolescente: a 16 anni le prime produzioni, a 18 il primo tour. Nel 2012 era già nella classifica dei dieci dj più pagati del mondo, guidata da Tiesto, danese, con un cachet di 250.000 dollari a esibizione e un guadagno annuo di 22 milioni di dollari. Lui, decimo, si fermava a quota 7 milioni, con un cachet di centomila dollari per dj set.
Ma i soldi non sono tutto, non bastano a volte, anche se quando non ne hai è più difficile. «Quando mi guardo indietro, penso: wow, ho fatto io tutto questo? È stato il momento migliore della mia vita, ma con un prezzo - molto stress e molta ansia per me: è stato il miglior viaggio della mia vita», aveva confessato, tornando su quel buco nero dello stress.
Nel 2013 lo avevamo visto atterrare con un elicottero privato ad Anacapri, prima di rifugiarsi nella lussuosissima Suite Paltrow del Capri Palace. I suoi successi non dicono niente a chi non li ha ballati, dicono tanto a chi ci ha sudato sopra, lucido o meno: «Le7els» del 2011, «Wake me up» del 2013, «Hey brother» ancora dello stesso anno come anche «Addicted to you», «The nights» del 2015.

Meno famoso, ma nemmeno troppo, di David Guetta e Calvin Harris, per qualcuno come Benny Benassi era semplicemente «il più forte di tutti», era stimato dai padri fondatori della dance come Giorgio Moroder, aveva collaborato con Madonna («Devil pray»), Coldplay, Rita Ora, Santana, Lenny Kravitz («Superlove»). Netflix aveva raccontato il tour del suo ritiro nel docufilm «Avicii: true stories».

«È successo qualcosa di veramente orribile. Abbiamo perso un amico con un cuore così bello e il mondo ha perso un musicista di incredibile talento. Grazie per le tue bellissime melodie, per il tempo che abbiamo condiviso in studio, suonando insieme come dj o semplicemente godendoci la vita da amici. Riposa in pace», ha scritto proprio Guetta su Instragram, sotto una foto che li ritrae insieme.
 
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