Abel Ferrara: «Sobrio da cinque anni, posso tornare a Napoli»

Abel Ferrara: «Sobrio da cinque anni, posso tornare a Napoli»
di Diego Del Pozzo
Sabato 9 Dicembre 2017, 11:01
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L'ospite d'onore e presidente di giuria del festival internazionale Laceno d'Oro in corso ad Avellino fino a domani è Abel Ferrara, il regista italo-americano che, negli anni Novanta, ha scritto pagine indelebili di grande cinema, portando sullo schermo i propri demoni interiori in film importanti come «Il cattivo tenente», «Occhi di serpente», «The Addiction» e «Fratelli». Oggi Ferrara, che risiede da anni in Italia, prima a Napoli e ora a Roma, è lontano da quel periodo oscuro, seppur artisticamente produttivo, dopo la disintossicazione dall'alcool avvenuta quando viveva in Campania. Ad Avellino, è stato applauditissimo al cinema Partenio, durante la proiezione del suo recente «Piazza Vittorio», il documentario sul quartiere romano nel quale vive, «straordinaria oasi multietnica sottolinea che ho raccontato con uno sguardo a livello di strada, intrecciando storie collettive e riferimenti alla mia vita quotidiana».

E com'è attualmente la vita di Abel Ferrara?
«Felice, grazie alla mia famiglia e all'amore per il cinema. Proprio la famiglia e il cinema sono i due poli intorno ai quali ruota oggi la mia esistenza. E la cosa bella è che, a volte, s'intrecciano tra di loro, come in Piazza Vittorio. A me piace vivere nel presente e non sono più ritornato né a New York né a Napoli, se non per sporadiche esperienze lavorative».

Come mai, cinque anni fa, decise di andare via da Napoli?
«Perché durante il mio periodo in Campania sono diventato sobrio. Ci riuscii nel centro Leo di Vallo di Maddaloni, che sono tornato a visitare in questi giorni per salutare tanti amici. La prima regola da rispettare quando smetti con una dipendenza è di smettere di frequentare i luoghi e le persone che ti potrebbero ricordare quella stessa dipendenza. Perciò, da sobrio, ho deciso di non tornare più a Napoli. Almeno finora».

In che senso, «almeno finora»?
«Nel senso che mi sto preparando per tornare in città a breve, per un progetto teatrale che mi vedrà impegnato assieme al mio amico Nino D'Angelo. Lo realizzeremo al teatro Trianon, nel cuore di Forcella, il quartiere che io considero una sorta di heart of darkness, di cuore di tenebra, partenopeo».

Si tratta di «Forcella Strit», annunciato da D'Angelo per marzo 2018 durante la presentazione del cartellone della nuova stagione?
«Sì, però con Nino siamo già d'accordo per illustrarne i dettagli assieme a Napoli dopo il 15 dicembre. Da parte mia, sono contento perché lui è un amico e perché torno a lavorare in una città per me meravigliosa e abitata da un'umanità straordinaria. D'altra parte, alla Campania mi legano le origini familiari, grazie a mio nonno che, a inizio Novecento, partì da Sarno per gli Stati Uniti».

 


A proposito di suo nonno, a che punto è il tante volte annunciato progetto di film su di lui?
«Per il momento è fermo. Ma nel corso degli anni l'idea di partenza è cambiata e adesso potrei intrecciarlo col progetto sul giovane Padre Pio. La sceneggiatura di Maurizio Braucci c'è già, così come la scelta di Luca Marinelli nel ruolo del frate. Non so ancora quando, ma lo girerò sicuramente in Puglia e lo ambienterò nel 1919, durante le sanguinose rivolte dei contadini locali contro i proprietari terrieri, con l'esercito che sparò sulla folla e un approccio anche politico».
Intanto, a breve inizieranno le riprese del suo nuovo film, «Siberia», ambientato in Italia. Di che si tratta?
«Lo girerò in Trentino, verso fine anno, perché ho bisogno di paesaggi innevati. La produzione è italo-tedesca, Vivo Film e The Match Factory, con Willem Dafoe, Nicolas Cage e Isabelle Huppert nei ruoli principali. La Siberia del titolo è metaforica e simboleggia il gelo dei sentimenti che attanaglia gli animi dei protagonisti. Al centro del film ci sarà il loro passato e il modo nel quale fa sentire i propri effetti sul futuro. Il personaggio di Willem è costruito a partire dalle sedute di psicanalisi alle quali lui s'è sottoposto per anni. In questo modo, proverò a trasformare il suo inconscio in visioni cinematografiche».
Lei, nel 2014, ha ispirato il suo «Welcome to New York» allo scandalo sessuale che coinvolse l'economista Dominique Strauss-Kahn. Che cosa pensa della tempesta mediatica che, su questo tema, sta investendo Hollywood?
«Credo che sia una situazione di grande complessità, da far risalire alle origini ataviche dei rapporti tra uomo e donna. Che tante donne abbiano deciso di rivoltarsi alle odiose logiche di potere imperanti a Hollywood, ma non soltanto, è assolutamente positivo. D'altra parte, negli anni Sessanta e Settanta io ho assistito ai primi sintomi dell'emancipazione femminile. Non mi piace, però, la caccia al capro espiatorio di questi mesi, quasi come se Harvey Weinstein fosse l'unico colpevole, mentre non è così. Tra l'altro, anche al più colpevole tra gli uomini andrebbe garantita la presunzione d'innocenza fino a prova contraria, soprattutto in un Paese come gli Stati Uniti, nel quale è costata molte vite. E trovo anche assurdo che attori come Kevin Spacey siano stati cancellati da lavori già realizzati. In tal senso, la decisione di Ridley Scott di eliminarlo da Tutti i soldi del mondo per me è sbagliatissima, perché un regista non dovrebbe mai sostituirsi a un giudice o a una giuria».
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