«Qui rido io», Mario Martone e Toni Servillo riuniti da Eduardo Scarpetta

«Qui rido io», Mario Martone e Toni Servillo riuniti da Eduardo Scarpetta
di Titta Fiore
Martedì 6 Novembre 2018, 10:30 - Ultimo agg. 16:57
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«Qui rido io», volle che fosse scritto a grandi lettere di metallo su uno dei quattro torrioni della bella villa, squadrata «come un comò sotto e ncoppa», costruita nel punto più incantevole del Vomero. Eduardo Scarpetta a Napoli era un re e quella casa sontuosa doveva essere la sua piccola Versailles. L'aveva battezzata La Santarella, in segno di riconoscente devozione per gli incassi ottenuti con l'omonima commedia. Quel motto, «Qui rido io», indicava che se a teatro era il pubblico a spassarsela, tra le mura di una magione così speciale, baciata da tutte le fortune, toccava al padrone di casa divertirsi. E «Qui rido io» s'intitolerà anche il film che Mario Martone si prepara a girare sul grande attore e commediografo, gran patriarca del teatro napoletano e padre disinvolto dei tre fratelli De Filippo, mai ufficialmente riconosciuti.
 
Nei panni del protagonista ci sarà Toni Servillo, mattatore eduardiano di lungo corso e qui chiamato a misurarsi con un personaggio di pari, se non maggiore, complessità. Eduardo Scarpetta fu un innovatore in scena, un sultano nella vita. Nel Palazzo a via Vittoria Colonna, che ora ospita la Fondazione De Filippo, aveva creato una famiglia allargata di straordinario talento e di incredibili intrecci, con i figli legittimi Domenico, Vincenzo e Maria autorizzati a chiamarlo papà e quelli illegittimi Eduardo, Peppino e Titina obbligati a chiamarlo zio, e due bambini nati da una relazione con un'altra sorella De Filippo, Pasquale ed Eduardo, costretti, soprattutto quest'ultimo, al nome d'arte Passarelli perché sulle scene poteva esserci posto per un solo Eduardo De Filippo. Tutti insieme, appassionatamente, nel palazzo della raggiunta rispettabilità borghese, dove in seguito avrebbero trovato ricetto, per li rami di parentele acquisite, altre famiglie di solido blasone artistico: i Viviani e i Carloni. Di fronte a quest'albero genealogico più fitto di una quercia che non a caso, nella monumentale mostra su «I De Filippo in scena» in corso a Castel dell'Ovo, occupa un'intera parete, è presumibile che Martone scelga per raccontarlo la strada dell'affresco storico e di costume, la più vicina alle sue corde di narratore. In questo modo, inoltre, gli sarebbe possibile tornare, per altri versi, sul vecchio progetto di una serie televisiva su Eduardo e il suo tempo, poi bloccato per non accavallarsi con un'analoga iniziativa annunciata con la regia di Sergio Rubini. E se così fosse, l'eccezionale vicenda professionale e umana di Scarpetta si intreccerebbe con quella di una città capitale del teatro tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, mescolando i linguaggi della scena, di cui don Eduardo fu formidabile riformatore, e quelli del nascente cinematografo, che il primattore frequentò con curiosità.

Da ieri a Napoli sul set di un docufilm ispirato all'allestimento del «Sindaco del rione Sanità» che ha diretto al Nest di San Giovanni a Teduccio l'anno scorso, il regista per ora non si sbilancia. Nel team produttivo di «Qui rido io», con Rai Cinema, ci sono la Publispei, già presente per la fiction su Eduardo, e la Indigo Film, in campo anche per il film sul «Sindaco». Da anni Mariolina Cozzi Scarpetta si dedica allo studio delle opere di Vincenzo Scarpetta, il figlio del celebre commediografo, curando la riedizione delle sue commedie e la trascrizione di alcuni testi inediti, nonché ricostruendo l'attività artistica di una famiglia così prolifica e complicata. Dice con un sorriso: «Con Mario Martone e con sua moglie Ippolita Di Majo sono in contatto, finora abbiamo avuto chiacchierate amichevoli sul progetto, se posso essere utile per la biografia e i dati storici sono qui, mi metto volentieri a disposizione». Ma chi era, per lei, Eduardo Scarpetta, che idea se n'è fatta? «Era un uomo complesso, grande artista e grande impresario. Conosceva perfettamente i gusti del pubblico e sapeva come mettere a profitto la propria arte. Tutto passava in secondo piano, anche i figli, di fronte a un progetto imprenditoriale. Ebbe enormi successi e subì attacchi violentissimi. Il processo che gli intentò D'Annunzio per la parodia della Figlia di Iorio fu solo l'ultima goccia capace di far traboccare il vaso. Per anni nel mirino di Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Roberto Bracco, però, seppe andare diritto per la sua strada. Fino alla fine».
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