Ozpetek difende la sua «Napoli velata»: «È il mio viaggio stordito e abbagliato dentro la città»

Ozpetek difende la sua «Napoli velata»: «È il mio viaggio stordito e abbagliato dentro la città»
Domenica 7 Gennaio 2018, 15:22 - Ultimo agg. 16:02
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«‘I film, senza gli altri, non esistono. E gli altri sono, come noi, autori del film’. Questa frase scritta da un grande regista, Marco Ferreri, mi rappresenta completamente. Ho sempre pensato che lo spettatore è l’ultimo Autore del film, quello che lo completa». Così in un lungo post su Facebook Ferzan Ozpetek, autore del film «Napoli velata» in questi giorni nelle sale, riprende un articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno. 

«Il dibattito che si è aperto naturalmente intorno a ‘Napoli velata’ mi fa molto piacere. Non c’è niente di peggio per chi fa una qualsiasi opera che cadere nell’indifferenza.  È ovvio che non ho raccontato Napoli com’è o come dovrebbe essere. Ho raccontato il mio personale viaggio – ‘stordito e abbagliato’ - dentro Napoli. La visione di me stesso dentro una città costruita come un palcoscenico teatrale tra le quinte di due sistemi vulcanici non comunicanti tra loro: il Vesuvio che erutta lava basica di colore grigio- nero, e il Flegreo, che va da Posillipo a Ischia ed emette gas acidi e una polvere di colore giallastro. La città ha un diretto rapporto con gli Inferi, metafora di quell’eterna lotta tra Vita e Morte che in realtà è la dichiarazione di una convivenza: quella tra Razionalità e Irrazionalità. Napoli è la messa in scena di questa duplicità, del rapporto quasi sessuato tra Logos e Caos. E mi sembra che anche le reazioni di parte del pubblico riflettano questa duplicità: chi cerca la chiusura del cerchio razionale di tutto e chi invece si abbandona al flusso delle suggestioni. Così Napoli è diventata Adriana, il personaggio interpretato da Giovanna Mezzogiorno, che ho fatto camminare su due binari narrativi razionali: l’inchiesta poliziesca e lo sviluppo psicologico del suo trauma. Senza mai però cedere né alle leggi del Thriller né a quelle della Psicanalisi, altrimenti mi avrebbero tolto il Mistero della Passione, che è l’unico elemento che mi interessava.  La Passione è il vero tema del film, quella tra due esseri umani ma anche quella per una città e soprattutto per il Cinema. Adriana è un Giano bifronte che io seguo mettendola in mezzo o di fronte a una ‘messa in scena’, lei si staglia sempre in un contesto di Rappresentazione sia tradizionale - la figliata, la tombola vajassa, la smorfia dei numeri – sia personale: la sua sessualità, il suo lutto, il rivivere il proprio trauma originario. Ogni luogo di Napoli, anche i due appartamenti privati, sono scelti in funzione di un concetto quasi teatrale di ‘messa in scena’, tutti e due hanno infatti a modo loro dei Sipari che ci allontanano da ogni realismo per abbandonarci a una visione barocca, volutamente eccessiva».
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