«Fuocoammare» di Rosi
vince l'Oscar europeo

«Fuocoammare» di Rosi vince l'Oscar europeo
di ​Titta Fiore - inviato a Wroclaw
Domenica 11 Dicembre 2016, 15:27 - Ultimo agg. 15:28
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Nell'Europa della Brexit e dei neo-nazionalismi la vittoria agli Efa di «Fuocoammare» è un segnale importante. E non solo perché racconta con compassione il dramma dei migranti da una terra di frontiera sperduta in mezzo al Mediterraneo. Già vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino, il più politico dei festival, ora il docufilm di Gianfranco Rosi diventa portabandiera di un continente diviso dalla politica ma unito nel linguaggio dell'arte, così da riprendere con maggiore forza anche la strada verso l'Oscar, accompagnato da un consenso che si allarga a macchia d'olio.

Wim Wenders, il presidente degli European Film Awards, e i giurati del premio tornato per la 29esima edizione in Polonia ne sono evidentemente entusiasti, proprio come prima di loro lo era stata Meryl Streep che, a capo della giuria di Berlino, aveva voluto a ogni costo premiare quel documentario girato a Lampedusa dove adulti e bambini si confrontano ogni giorno con il dovere dell'accoglienza e con la pratica della solidarietà. Agli stessi sentimenti si rifà Rosi ritirando la statuetta e augurando a se stesso e agli altri «un mondo senza barriere e senza violenza, dove vengono rispettati i diritti umani e messa al bando l'intolleranza. Un mondo capace di esaltare la bellezza a dispetto di chi vorrebbe erigere muri e di tenere nel debito conto gli insegnamenti della storia». Dialogo. Condivisione. Integrazione e pace.

Tutta la lunga cerimonia nell'Auditorium di Wroclaw ha avuto nei temi dell'identità culturale e della libertà di espressione il suo filo rosso. L'hanno orgogliosamente rivendicato premiati e premiatori e del resto lo aveva spiegato con chiarezza la regista Agniesza Holland, che degli Efa è uno dei responsabili. «Nel buon cinema europeo» ha detto, «le voci xenofobe sono rare. Il nostro cinema crede nei diritti e nella dignità dell'individuo. Sa essere popolare e nello stesso tempo sperimentale. La varietà delle proposte è un grande vantaggio ed è proprio questa diversità a renderci competitivi rispetto agli americani, che saranno più ricchi di risorse, ma anche più schematici e prevedibili».

Con altre parole lo ribadisce sul palco dei vincitori lo svizzero Claude Barras, autore del fortunato cartoon «La mia vita da zucchina»: «La cultura è come un arcobaleno ed è magnifico veder risplendere qui tutti i suoi colori». E il sindaco di Wroclaw, in apertura, con un discorsetto che è un manifesto politico, indica nell'Europa «il futuro» necessario e nei nazionalismi «il passato» che non può ritornare. Sul fronte dei premi, è la commedia della tedesca Maren Ade «Vi presento Toni Erdmann» a fare la parte del leone e a portare a casa tutti i premi più importanti: per i due attori protagonisti (e qui Sandra Huller ha avuto la meglio sulla straordinaria Valeria Bruni Tedeschi diretta da Virzì in «La pazza gioia»), per la sceneggiatura e, soprattutto, per la regia e per il film europeo dell'anno. Con Maren Ade una donna vince per la prima volta agli Efa (altro segnale non trascurabile di novità) e si lascia alle spalle concorrenti di tutto rispetto, veterani come Ken Loach e Pedro Almodovar.

In Italia il suo film si vedrà dal 23 febbraio, distribuito da Cinema di Valerio De Paolis. La cronaca torna a imporsi con la sua tragica potenza nei cortometraggi, dove non ha rivali una storia ambientata ad Aleppo, la città simbolo della Siria martoriata dalla guerra. La migliore commedia è la svedese «The man called Ove» di Hannes Holm, che trova il modo di citare Bob Dylan, premiato nelle stesse ore in contumacia al Nobel. Nell'Europa delle culture le standing ovation sono per il divo e produttore Pierce Brosnan e per lo sceneggiatore francese Jean-Claude Carrière, premiati alla carriera. Ed è per Andrzej Wajda, il padre nobile del cinema polacco scomparso di recente, il commosso omaggio di Wenders.
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