Il cinema racconta l'identità di un Paese, lo ha ricordato a ragione il presidente Mattarella, e questa identità, ieri sera ai David di Donatello, è stata per buona parte fortemente, prepotentemente napoletana. «Ammore e malavita» dei Manetti Bros è il miglior film dell'anno, ma sono parecchi i premi che il musical crime nato all'ombra del Vesuvio inanella con quello più importante (Claudia Gerini attrice non protagonista, Daniela Salernitano per i costumi ex aequo, Pivio e De Scalzi per le musiche e con Nelson per la canzone originale «Bang bang»); e riconoscimenti tecnici (scenografia e fotografia) vince «Napoli velata» di Ferzan Ozpetek; Luciano Stella, Carolina Terzi e Paolo Del Brocco sono i migliori produttori dell'anno per «Gatta Cenerentola» della factory d'animazione Mad (premiata anche per gli effetti digitali); «La tenerezza» di Gianni Amelio porta a casa il David per il magnifico protagonista Renato Carpentieri e «La ragazza nella nebbia» di Donato Carrisi (miglior regista esordiente) si afferma anche grazie alla performance di Toni Servillo mattatore.
È stata una lunga, bella serata di festa nel segno della diversità dei generi, della vitalità di un'arte capace di stare al passo con i tempi e con le tecnologie, dell'affermazione di una cultura anarchica e vitalissima qual è quella napoletana. Ma è stata, anche, una serata di testimonianza e di impegno civile. Le donne del cinema italiano, tutte in nero, hanno voluto ricordare, come le colleghe americane ai Golden Globes, che «Time's Up», il tempo è scaduto. Il tempo delle violenze, il tempo delle discriminazioni, delle molestie nella vita e nel lavoro è scaduto. Lo recita nel monologo d'apertura sul peso delle parole Paola Cortellesi, poi tutti, le premiate e le premiatrici, i premiati e i premiatori, mettono la violenza di genere al centro dei loro interventi. Sono attrici importanti, professioniste dello spettacolo di lungo corso, ma ieri sera hanno voluto sottolineare soprattutto il loro essere donne, lavoratrici e madri. La loro dignità di donne. E sono stati in tante, e tanti, a tenersi orgogliosamente appuntata sul petto la spilla di «Dissenso comune», il movimento che in Italia fa da contraltare ai più noti «MeToo» e «Time'sUp».
«Io e mia moglie Cate li sosteniamo economicamente da tempo, soprattutto Time's Up, nato per garantire assistenza legale alle donne che non possono permettersi un avvocato» ha raccontato Steven Spielberg prima di salire sul palco e ritirare tra gli applausi il David alla carriera. Il grande regista è stato la stella più fulgida di una serata acchiappascolti riportata su Raiuno da Carlo Conti con tutti i crismi dell'ufficialità glamorous. Festeggiato da Monica Bellucci, preceduto da una delle due primedonne del galà, Stefania Sandrelli, destinataria con Diane Keaton del medesimo riconoscimento speciale ad honorem, Spielberg ha parlato del nuovo film in uscita (perché il marketing è pur sempre l'anima del commercio) e ha diffuso perle di saggezza liberal. «Ready Player One», basato sul best seller di Ernest Cline, racconta un futuro distopico dominato dai videogiochi e dalla compulsiva dipendenza da cellulari, web e social. In un mondo alla deriva rovinato dalla folle stupidità degli umani l'unica salvezza resta la realtà virtuale, un mondo non a caso chiamato Oasis dove tutto è pacifico e funzionale alla propria personale idea di bellezza e perfezione. Siamo nel 2045, ma molte cose sono pericolosamente vicine all'oggi. «Ci lavoravo da anni, ed è stato un sollievo tornare ad uno dei generi cinematografici che amo di più, la fantascienza» ha raccontato il geniale cineasta quattro volte premio Oscar. «Il futuro? Per molti aspetti è già qui, i social media hanno cambiato la nostra percezione della realtà, tutti desiderano la privacy, ultimo bastione sacro della libertà individuale, ma la tecnologia è invasiva, ho sette figli e quattro nipoti e ne vedo gli effetti anche nei loro comportamenti».
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