Cannes, la marcia delle donne: «Tutte insieme, per i diritti»

Cannes, la marcia delle donne: «Tutte insieme, per i diritti»
di Titta Fiore
Domenica 13 Maggio 2018, 11:23
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CANNES - Se un'immagine resterà, di questa edizione del Festival, sarà senz'altro quella della spettacolare Monteée des Marches al femminile di ieri per il film di Eve Husson sulle soldatesse curde «Les filles du soleil». Ottantadue donne sul tappeto rosso, quanti sono i film realizzati da registe nella lunga storia della rassegna a fronte dei 1645 titoli presentati dai loro colleghi uomini. Un gruppo di lavoratrici dello spettacolo emozionate ed emozionanti arrivate da tutto il mondo per chiedere parità di diritti ed equo compenso. Tra loro dive di prima grandezza come Helen Mirren, Claudia Cardinale e Salma Hayek, le giurate Kristen Stewart e Lea Seydoux, Khaja Nin e Ava DuVernay accanto alla presidente Cate Blanchett la decana delle cineaste francesi Agnes Varda, 89 anni di irresistibile energia, Jasmine Trinca e Marion Cotillard, Julie Gayet e Clotilde Coureau, ma anche produttrici, montatrici, scenografe, fotografe, tutte in marcia sul tappeto rosso e poi ferme a mezza scala, perché c'è ancora tanto cammino da fare per raggiungere l'equity gender. Lo ha detto ad microfono «madame la présidente», lo hanno sottolineato applaudendo forte le altre prima di entrare in sala accolte da altri applausi di donne, da abbracci e strette di mano.
 


Time's Up, il tempo delle differenze sembra davvero scaduto, nella comunità del cinema. Almeno ora, almeno qui, dove lo scandalo Weinstein ha lasciato un segno che il fervore delle iniziative cerca di superare: oggi il ministro della Cultura Francoise Nyssen presenterà con la collega svedese Alice Bah Kuhnke un piano per sostenere le giovani registe, domani la round table dei movimenti delle donne nati sull'onda del caso molestie - da MeToo al francese 50-50/2020 all'italiano Dissenso Comune al greco Greek Women's Wave - chiederà con una sola voce che si scrivano nuove regole nei rapporti tra sessi, nel lavoro, nelle professioni, nel privato. E c'è chi prevede, per questo 2018, una Palma tinta di rosa: nel caso, sono tre le registe in gara, con Husson anche Labaki e l'italiana Alice Rohrwacher, che passa stasera in concorso con «Lazzaro felice», la storia di un ragazzo così buono da sfiorare la santità.
 
Si deve a una donna, Katharina Kubrick, e ai suoi ricordi di bambina, il racconto dei particolari più inediti e segreti della personalità dell'immenso regista che cinquant'anni fa, con «2001 Odissea nello spazio», rivoluzionò il linguaggio cinematografico e la sci-fiction. Ora quel capodopera che non conosce il trascorrere del tempo, torna in sala come un evento il 4 e 5 giugno restaurato dalla Warner Bros, mentre a Cannes si vedrà in una copia speciale in 70 mm ottenuta dal negativo originale attraverso un procedimento fotochimico, senza ritocchi digitali o modifiche al montaggio. In pratica, splendido e perfetto così come Kubrick lo licenziò. «Mio padre era il suo film, un mondo concentrato dai contorni sognanti e malinconici. Non so quante volte ho visto 2001 e non ho mai smesso di amarlo, mi comunica emozioni sempre diverse, vorrei che anche i giovani avessero la possibilità di apprezzarlo». Ma com'era il grande Stanley visto da vicino, davvero così difficile e intrattabile come vuole il suo mito? «Aveva il suo mondo artistico, viveva di creatività, ma non era impenetrabile. Durante le riprese di un film la nostra casa diventava un porto di mare, punto di riferimento di una grande famiglia di artisti, tecnici e studenti con i quali mio padre si trasformava in un appassionato insegnante, mentre mia madre in cucina preparava sandwich per tutti». Jan Harlan, il cognato produttore esecutivo di «Barry Lyndon», «Shining», «Eyes Wide Shut», annuncia che forse diventerà una serie per la Hbo l'antico progetto di Kubrick su Napoleone. Christhopher Nolan, che ha curato il restauro di «Odissea nello spazio», racconta l'emozione che gli procurò il film visto a sette anni in un cinema di Londra nella bellezza dei 70 millimetri. «Rimasi sconvolto, quel giorno partii per un viaggio che non è ancora finito. Quel film mi ha fatto capire che il cinema è capace di tutto, ora voglio trasmettere la mia esperienza a una nuova generazione di cinefili».

Per la capacità di creare mondi immaginari, per la visionarietà del racconto molti definiscono il regista di «Dunkirk» e di «Batman» il vero erede d Kubrick e ieri, per assistere alla sua dotta e professorale masterclass dopo ore di fila, la gente ha fatto a a spintoni.
Il vero colpo di scena, però, è venuto ancora una volta da Jean-Luc Godard: la sua annunciata videoconferenza era, in realtà, una telefonata, con i giornalisti in fila indiana davanti a un cellulare collegato via Skype con la Svizzera. In compenso, il venerato maestro di «Le livre d'image» si è speso con generosità in elaborati aforismi, ascoltato come un oracolo surrealista. Il cinema? «È un'equazione, ti dà la chiave per capire, ma non bisogna dimenticare la serratura. Il cinema è una piccola Catalogna che fa fatica ad esistere». La tv? «Non insegna niente, come Facebook, ed è per questo che la guardo azzerando il volume». Gli attori? «Contribuiscono al totalitarismo delle immagini, a me non servono più». Continuerà a fare film? «Penso di sì, dipende dalle mie gambe, dai miei occhi, dal coraggio di vivere la vita».

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