Antonio Grimaldi a Parigi: «La mia collezione ispirata all'icona Mona Bismarck»

Antonio Grimaldi Haute Couture autunno inverno 17-18
Antonio Grimaldi Haute Couture autunno inverno 17-18
di Valentina Venturi
Martedì 4 Luglio 2017, 15:48 - Ultimo agg. 22:00
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Da Fernanda Gattinoni alla Paris Fashion Week. La crescita professionale di Antonio Grimaldi è inarrestabile. Lo stilista nel pomeriggio di lunedì 3 luglio al Mona Bismarck American Center di Parigi, ha proposto la sua collezione Haute Couture autunno inverno 2017-2018. La sfilata era all’interno del calendario ufficiale dell'Haute Couture: è stato invitato su proposta di Riccardo Tisci, quando quest'ultimo era direttore creativo di Givenchy. Nel ricco parterre ad applaudirlo c’erano Anna Galiena, Amanda Lear, la principessa Antonella d’Orleans Bourbon e l’ambasciatrice in Francia Giada Magliano. Lo abbiamo incontrato per capire il tema della sfilata (con la regia di Alessandro Mazzini) e per conoscere meglio lo stilista salernitano.
 

 


E’ il suo secondo appuntamento con la settimana dell’alta moda di Parigi. 
«Questa collezione ha una marcia in più rispetto alla precedente. E' veramente ricchissima di ricami, decorazioni e tagli. Ho avuto l'ispirazione pensando a Mona Bismarck, un'ereditiera e collezionista di abiti di alta moda. Icona, tra le donne più eleganti del mondo, è stata premiata da Chanel, Vionnet e fotografata da Vogue; era amica di molti artisti e viveva tra Parigi e Capri dove aveva acquistato il Fortino. Quando morì Balenciaga fece quattro giorni di lutto chiudendosi in casa perché, diceva, non sapeva più cosa mettersi! Poi lo sostituì con Givenchy. Era una collezionista di gioielli e persino i suoi famosi diamanti mi hanno ispirato». 

Dando vita a cosa?
«Ad un abito come un diamante rosa, lavorato proprio seguendo il taglio del diamante. E’ un intarsio di varie organze, di diversi colori tagliati a mano, a cui ho voluto inserire vari cristalli. Mona aveva lasciato in eredità alla Fondazione i suoi gioielli e noi abbiamo sfilato qui perché è un luogo che vive di mostre d’arte. Un posto da sogno». 

Quale capo predilige della collezione Haute Couture autunno inverno 2017-2018?
«Lo specchio che esplode, che chiude la sfilata. Lo specchio poi ritorna sui ricami di altri abiti, dando la sensazione di vetri che crollano. E’ uno degli abiti più ricamati, lavoratissimo, ci sono voluti due mesi e mezzo di ricamo pieno». 

Ad aprire la sfilata c’è ovviamente la lana. 
«Ci sono lavorazioni in flanella e lana che diventano cappe scultura tutte doppiate, che rimandano a Balenciaga. Ma poi tanti pezzi di pelle, corpetti, abiti in pelle e pelliccia; le piume lavorate per diventare meno 'piumose' e più leggere, tanto da sembrare delle frange. Ho proposto una palette di pelle dipinta a mano, ma anche con ricami. E poi il velluto, i crepe cady che ho fatto intarsiare da tessutai, che hanno lavorato il tessuto dandogli un effetto di vetro e ghiaccio».

Quale la palette di colori?
«Cerco sempre di darne più di mille sfumature. Qui il tortora ha del rosa, c'è il color mostarda e il ghiaccio che sfuma nel rosa cenere per la pelle. La sfilata nasce con i grigi ghiaccio e il celeste, si riscalda con il tortora e il senape, per tornare alle sfumature del metallo fino a chiudere con l’oro rosa».

Come definirebbe la sua donna?
«Camaleontica, che ama divertirsi con gli abiti che sceglie. Può essere seria, chiusa, castigata ma anche scollatissima ed esplosiva. Ama l’arte e la contemporaneità».  

Chi vorrebbe vestire?
«Amo tutte le tipologie di donne, ma se ci rifletto mi piacerebbe vestire Cate Blanchett o Tilda Swinton: donne con una forte identità, bellezze particolari».

A Roma a breve ci sarà uno cambio di location. 
«Andiamo a Palazzo Besso a Largo di Torre Argentina. E in questo atelier si triplicano gli spazi: con un terrazzo gigante e salone di 50 mq. E poi il prêt-à-porter a Parigi, una demi-couture che sta piacendo molto. Sono molto soddisfatto».

Ha un sogno nel cassetto?
«Poter sposare il mio mondo di stilista con un brand, per spaziare liberamente con la creatività. Mi sento uno Schumacher, vorrei avere una Ferrari da guidare!».
 

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