Contratti a termine, ecco come cambiano: accordi rinnovabili fino a 36 mesi e semplificazione

Sabato 15 Aprile 2023, 18:10 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 09:44 | 3 Minuti di Lettura
Contratti a termine, ecco come cambiano: criteri meno rigidi, niente causali fino a 12 mesi

Contratti a termine più facili, con durata massima possibile che può arrivare fino a 36 mesi. Nel decreto “omnibus” atteso nelle prossime settimane in Consiglio dei ministri c’è anche una marcia indietro rispetto al cosiddetto decreto Dignità, il provvedimento approvato a fine 2018 dall’allora maggioranza gialloverde. Quel testo aveva l’obiettivo di limitare il ricorso all’occupazione a termine, introducendo causali più rigide per le assunzioni di questo tipo. E quindi rendendo di fatto quasi impossibile - se non in casi particolari - il prolungamento oltre la soglia dei dodici mesi. Con l’avvento della pandemia e delle successive emergenze erano state introdotte deroghe, per garantire comunque flessibilità in un contesto del tutto particolare; deroghe che poi sono scadute lo scorso autunno.

I CONTRATTI
Ora l’esecutivo vuole rimettere mano alla materia in chiave di semplificazione e di sburocratizzazione; in un contesto in cui secondo gli ultimi dati Istat sta crescendo l’occupazione stabile, verosimilmente anche a seguito di un’ondata di trasformazioni di contratti a termine. La modifica allo studio non sconvolge lo schema attualmente in vigore ma interviene in modo specifico proprio sulle causali. Queste, come succede già attualmente, non serviranno in caso di assunzione fino a 12 mesi: il datore di lavoro non deve insomma spiegare la sua scelta. Entrano in gioco invece quando si superano la scadenza dei dodici mesi, per arrivare a una durata massima di 24.

In questa situazione, nella versione originaria del decreto Dignità erano previste come condizione esigenze temporanee ed oggettive estranee all’attività ordinaria delle imprese, oppure esigenze legate a incrementi produttivi significativi e non programmabili. Insomma, occorreva dimostrare l’esistenza di un qualche fattore straordinario per il ricorso a lavoratori a termine. Nella nuova formulazione questi riferimenti vengono meno e risulta invece potenziato il rinvio alla contrattazione collettiva. Più precisamente, per un contratto a termine di durata superiore a dodici mesi basterà rinviare a esigenze previste dai contratti stipulati anche a livello aziendale tra le pari sociali (che quindi possono essere diverse da settore a settore). In assenza di riferimenti nella contrattazione collettiva, queste esigenze dovranno essere certificate presso le commissioni di certificazione già esistenti per legge. Resta poi possibile la stipula di contratti a termine fino a 24 mesi anche in caso ci sia bisogno di sostituire altri lavoratori.

Cosa succede dopo i 24 mesi? Questa resta la durata massima “normale”, ma si potrà aggiungere un ulteriore rinnovo fino a 12, per arrivare a un periodo complessivo di 36 mesi. Servirà un passaggio presso gli uffici territoriali del ministero del Lavoro.

LA NORMA
Nello stesso provvedimento c’è poi un ulteriore intervento di semplificazione rispetto alle informazioni che il datore di lavoro deve fornire ai dipendenti in caso di assunzione (a tempo indeterminato o meno). Una norma introdotta la scorsa estate a seguito di una direttiva europea indicava in modo piuttosto tassativo le voci che dovevano essere specificate: orario di lavoro, durata del periodo di prova, durata delle ferie e dei congedi, retribuzione e molte altre. Concretamente venivano rese decisamente più complesse le lettere di assunzione. La nuova norma stabilisce in modo esplicito che tutte le informazioni richieste potranno essere fornite attraverso riferimenti alla legislazione in vigore o ai contratti di lavoro. E per facilitare il tutto gli stessi datori di lavoro saranno tenuti a consegnare al lavoratore o a pubblicare sul sito web aziendale i contratti stessi o altri regolamenti applicabili al rapporto di lavoro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA