«L'ansia e la depressione si identificano come disturbo in sé in ambito psicopatologico, ma sono frequentemente associate a molte malattie neurologiche ed internistiche. La condizione di malattia, spesso quando è cronica, non può non comportare ripercussioni psicologiche sulla persona, che possono complicare l’approccio del clinico alla malattia sia sotto il profilo diagnostico che della gestione terapeutica. Talora il legame è ancora più stretto, in quanto moventi patogenetici che hanno causato i sintomi fisici della malattia risultano comuni a quelli che ne determinano i sintomi psicologici» spiega il professore Ronga. E precisa: «Casi emblematici in questo senso sono le cefalee, le demenze, la malattia di Parkinson. Quando a tutto ciò si associa anche il dolore il problema diviene particolarmente complesso, in quanto risulta estremamente difficile capire il “cosa abbia causato cosa”.
In questi casi, infatti, si innescano spesso meccanismi di causalità circolare, che si traducono in circoli viziosi in cui il dolore alimenta l’ansia e la depressione, e queste a loro volta incrementano la percezione e l’amplificazione del dolore. V’è infine il caso in cui un movente etiopatogenetico unico, come lo stroke, può determinare quali esiti a medio-lungo termine la contemporanea presenza di depressione, ansia e dolore, ponendo dei seri interrogativi di prevenzione terziaria sia della condizione ischemica (NAO, statine etc.) che delle complicanze. Alla luce di tali considerazioni è di estrema importanza offrire al clinico una visione del paziente che consideri in una prospettiva unificante la dimensione dolorosa, quella psicopatologica e quella più propriamente “organica”, con particolare riferimento alla identificazione di approcci terapeutici in grado di intervenire, con il minor numero di farmaci, sul maggior numero possibile di sintomi».