Vassallo, luce sul mistero: tre indagati per l’omicidio del sindaco

Vassallo, luce sul mistero: tre indagati per l’omicidio del sindaco
di Petronilla Carillo
Martedì 19 Gennaio 2016, 07:52 - Ultimo agg. 11:11
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«Ho scoperto una cosa che non avrei mai voluto scoprire». Angelo Vassallo, ucciso nel 2010 quando era ancora sindaco di Pollica, avrebbe lasciato agli investigatori una traccia prima di morire, una traccia che gli inquirenti stanno cercando di interpretare da quasi sei anni. Nei giorni scorsi l’inchiesta avrebbe però avuto una svolta: la Procura di Salerno ha iscritto altre tre persone nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio aggravato dalle finalità mafiose. Avrebbero agito tutti in concorso tra di loro, assieme a Bruno Humberto Damiani, che è stato per molto tempo l’unico indagato per l’uccisione del sindaco pescatore.

A tutti, dunque, non solo viene contestata l’aggravante dell’articolo 7 ma anche il concorso. Per il momento c’è riservo sui nomi ma l’ipotesi degli inquirenti è che l’omicidio sia maturato nel contesto dello spaccio della droga. Torna dunque insistente la pista che per prima la Procura Antimafia ha seguito e, di fatto, mai abbandonata: che la morte di Angelo Vassallo possa essere legata a quelle attività di spaccio nella zona del porto di Acciaroli, fatto questo che lui aveva sempre combattuto. Anche con i modi burberi che lo caratterizzavano. La Procura insiste. Anche perché, a distanza di quasi sei anni, quell’omicidio resta ancora un cold case. E per l’ennesima volta da quando è stato estradato dalla Colombia, Bruno Humberto Damiani viene nuovamente sentito dagli inquirenti.

Il «brasiliano» è stato convocato negli uffici giudiziari lo scorso 13 gennaio. Assistito dai suoi legali di fiducia, gli avvocati Michele e Francesca Sarno, Damiani ha varcato la soglia del palazzo di giustizia da detenuto (è in carcere a Secondigliano per altri reati legati alla droga e, nel frattempo, sta anche espiando una pena per la tentata estorsione ad alcuni imprenditori del mercato ittico di Salerno), accompagnato dagli agenti della polizia penitenziaria. Per la seconda volta da agosto, la quarta da quando è tornato in Italia, il «brasiliano» ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Rosa Volpe (che ha mantenuto la titolarità del fascicolo nonostante il trasferimento a Napoli) e del sostituto procuratore Marco Colamonici. Domande sempre uguali, necessarie a ricostruire alcuni accadimenti che hanno segnato i giorni precedenti all’assassinio. I legami di Damiani con alcuni personaggi della zona, i suoi contatti con Angelo Vassallo. In particolare i due magistrati hanno insistito nel chiedere al «brasiliano» se avesse del rancore nei confronti del sindaco. A questa domanda la risposta è stata sempre la stessa: «Non potevo avere rancore per una persona con la quale non ho mai avuto rapporti».

La versione di Bruno Humberto è sempre stata la stessa: conosceva Vassallo, lo aveva incrociato qualche volta ma non aveva mai scambiato alcuna parola se non un formale saluto. In passato altri due nomi «illustri» erano stati accostati ai fatti di Acciaroli, fin dal primo giorno: quello di un ufficiale dei carabinieri, il colonnello Fabio Cagnazzo, a lungo in servizio a Castello di Cisterna dove si è guadagnato la stima di numerosi magistrati napoletani, e di un suo attendente, Luigi Molaro. I due militari erano entrati nell’inchiesta perché, secondo i magistrati, perché nelle ore immediatamente successive al delitto avrebbero portato avanti un’autonoma ed irrituale attività di indagine, acquisendo fra l’altro le immagini di una telecamera collocata in un negozio sul porto di Acciaroli. Ma la loro posizione fu archiviata con l’arrivo in Procura a Salerno proprio di Corrado Lembo.

L’inchiesta, in effetti, nell’immediatezza dei fatti fu affidata alla Procura di Vallo della Lucania e poi «trasferita» a Salerno perché ufficialmente affidata all’Antimafia. Nella prima fase, gli inquirenti configurano lo scenario di una «convergenza di interessi» tra affari speculativi e spaccio di droga. Ma una matrice chiaramente mafiosa non è emersa, né sono stati individuati con certezza affari capaci di armare la mano dell’assassino. Nonostante in passato si sia parlato di affari nel settore alberghiero e dissidi di paese. Ma c’è chi attribuisce proprio ad alcuni errori commessi nella prima fase investigativa i ritardi nella soluzione di un delitto che sembrerebbe essere avvolto da non pochi misteri. A partire dalla pistola, una calibro 9.21 baby Tanfoglio mai ritrovata nonostante fosse stata cercata un po’ dappertutto. Sono stati effettuati controlli su cento pistole, perquisizioni a tappeto, persino ricerche nelle acque a largo di Acciaroli dove il killer avrebbe potuto gettarla subito dopo il delitto. Per continuare con una serie di rapporti e circostanze che avrebbero visto il sindaco pescatore protagonista di alcuni litigi quell’estate, come quella con una banda di pusher con i quali, qualcuno, ha anche raccontato che sarebbe arrivato alle mani. La pista della droga, infatti, è stata la prima ad essere seguita. Durante l’estate 2010, Acciaroli era stata invasa dallo spaccio di stupefacenti. Questa situazione rappresentava, per Vassallo, «fonte di preoccupazione e di agitazione al punto da diventare oggetto di confidenze ad amici, parenti e collaboratori», come scrive il gip di Salerno Emiliana Ascoli nell’ordinanza emessa alla fine del 2011 sullo spaccio di droga in Cilento prima di trasmettere gli atti per competenza a Vallo della Lucania.

Ordinanza che vedeva, quali destinatari del provvedimento restrittivo proprio Bruno Humberto Damiani. Fu lo stesso gip, allora, a scrivere che questo contesto costituisce, secondo il gip, «il binario entro il quale, dopo l’omicidio, operare al fine di delineare la triste vicenda» dando così conferma alle iniziali ipotesi investigative. Tra gli errori contestati all’avvio delle indagini dall’ex capo della Procura di Salerno Franco Roberti, vi fu anche quella di non aver ben «preservato» la scena del crimine nelle ore immediatamente successive all’omicidio. Così, qualche giorno dopo furono eseguiti gli esami del Dna di tutti quanti erano presenti, investigatori e magistrati compresi: una sessantina in tutto.

Accertamenti che, stando alle notizie successivamente trapelare, non avrebbe fornito risultati significativi. Anche perché, come racconta la ricostruzione della dinamica fatta dalla Scientifica sulla base del ritrovamento del cadavere del sindaco, Vassallo potrebbe essere stato ucciso da una persona che conosceva e, probabilmente, che non era avezzo all’uso delle armi. Il suo corpo è stato difatti ritrovato riverso sul volante della sua auto, il finestrino aperto, le chiavi inserite, il freno a mano tirato e il cellulare tra le mani. Chi gli ha sparato ha esploso nove colpi di pistola. Troppi per essere stati sparati da un professionista, secondo alcuni. Ma solo un killer pratico di armi poteva sparare tante volte senza fallire un colpo, ritengono altri. Vassallo potrebbe dunque essersi fermato di proposito a parlare con il suo assassino, a pochi metri da uno dei due ingressi alla sua abitazione. 
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