Imprenditore truffato tenta suicidio,
il suo ragioniere finisce nei guai

Imprenditore truffato tenta suicidio, il suo ragioniere finisce nei guai
di Petronilla Carillo
Giovedì 18 Gennaio 2018, 06:25 - Ultimo agg. 06:31
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Lo hanno truffato approfittando della sua buona fede e anche di un suo disturbo psichico, il bipolarismo, e e mettendo in atto un raggiro che lo ha lasciato senza casa e soldi. È con questa ipotesi di reato che ieri mattina il gup Piero Inidinnimeo ha rinviato a giudizio Emilio Martino, ragioniere e socio della vittima, e l’avvocato Alessandro Santoro. Per i legali dell’uomo, gli avvocati Francesco Oliveto e Antonio Ferrari, inizia ora la corsa contro il tempo (la prima udienza del processo è stata fissata per il 29 settembre) perché manca poco più di un anno alla prescrizione del reato. E già, perché su questa vicenda per tre volte il pm Elena Cosentino aveva chiesto l’archiviazione e per altrettante volte gli è stata negata. 

L’inchiesta prese il via per caso quando l’imprenditore truffato, A.C., fu trovato con un coltello conficcato sull’addome sulla spiaggia di Pastena: aveva tentato il suicidio proprio per ragioni economiche come lasciò scritto in un biglietto per la famiglia. 

La storia ha inizio quando A.C. e la moglie M.G.A. decidono di ampliare la loro impresa di pulizie affidandosi ad un ragioniere amico, appunto Martino. L’azienda iniziò a crescere, ebbero commesse ed arrivarono a contare quindici dipendenti. Il ragioniere, suo socio, si occupava anche della contabilità. Un giorno, però, l’imprenditore trovò nella propria sede gli ufficiali giudiziari per il pignoramento per un debito con l’erario di 500mila euro, tasse non pagate. Cosa della quale l’imprenditore non era a conoscenza. Nonostante tutto decise insieme al socio di vendere le proprie case per pagare il debito e proseguire con l’attività che, in fondo, andava bene. Decisero di rivolgersi ad un procuratore, anche lui un avvocato amico, appunto Santoro. Il professionista, appena ricevuto l’incarico prima gli fece cambiare agenzia immobiliare, poi «svendette» la sola casa dell’imprenditore «salvando» quella del ragioniere. E, approfittando dello stato di forte depressione, unita ad una alterazione psicofisica dovuta al bipolarismo, fece firmare all’imprenditore un atto che gli sottraeva ogni profitto di quell’operazione, firmando in favore del socio (e alla presenza di un avvocato) una ricognizione di debito di 150mila euro, differenza esatta tra il prezzo di vendita dell’appartamento e il residuo del mutuo. Scoperto tutto, l’uomo tentò il suicidio.
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