Salerno, al Verdi un «Don Pasquale»
ambientato in Costiera

Salerno, al Verdi un «Don Pasquale» ambientato in Costiera
di Erminia Pellecchia
Venerdì 19 Maggio 2017, 16:22
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Un bellissimo “a solo” di tromba, una melodia dal languore accorato introduce lo sconforto di Ernesto, quel «Cercherò lontana terra» che cancella all’istante la scintillante gaiezza del primo atto del «Don Pasquale». Il capolavoro di Gaetano Donizetti debutta stasera, ore 21 al Teatro Verdi di Salerno (repliche il 21 maggio alle 18 ed il 23 alle 19) con la regia di Riccardo Canessa (nella foto); sul podio Gennaro Cappabianca. Ad esaltare il lirismo di questo momento, definito magico dal pubblico che ha assistito ieri alla prova generale, un tramonto che vira al crepuscolo sul mare della Costiera amalfitana. Già. È un omaggio alla Divina quello del regista dalle radici partenopee, che, con la complicità dello scenografo e costumista napoletano Alfredo Troisi, ha ambientato «questa commedia nel senso pieno e moderno del termine più che opera buffa», nella terra delle Sirene, con un salto temporale dal 1843 (data della prima rappresentazione al Théâtre-Italien di Parigi) agli anni Venti.


Il primo atto apre, infatti, sul belvedere di un palazzo che rimanda, per la sequenza di sculture sulla balconata, alla terrazza sull’infinito di Villa Cimbrone. E, anche l’ambiente interno, con colonne e pareti decorate da ceramiche vietresi, ricorda la dimora ravellese di Lord Grimthorpe. Un girevole con moto rotatorio, scandito da proiezioni di paesaggi amalfitani, lega la narrazione come se si svolgesse nell’arco di un’intera giornata. Insomma, una sorta di teatro nel teatro, proprio come l’avrebbe voluta Donizetti, perché - spiega il regista - è la prima volta che il compositore ha cercato sia nel soggetto che nella musica un’efficacia di tipo teatrale».


Un’opera complicata il Don Pasquale, malgrado sia amata dal pubblico per la sua leggerezza. Lo sottolinea il direttore d’orchestra che, in piena sintonia con Canessa, ha lavorato sulla contaminazione tra comico e romantico, dando voce alle varie sonorità e alle varie velocità «in un ponte tra Rossini e Verdi», con la musica che accompagna gli stati d’animo. Sì, perché è questa l’originalità dell’opera, l’«essere un ponte tra due grandi momenti storici dal punto di vista musicale e teatrale, il buffo ed il melò». La storia è nota e si ispira alla commedia dell’arte: è quella dei travagli matrimoniali dell’anziano e benestante don Pasquale in lotta con il nipote Ernesto, una sorta di bamboccione dei nostri giorni che vive a suo carico. Un po’ per solitudine, un po’ per fargli dispetto vuol prendere moglie. Pericolo scongiurato grazie al raggiro messo in atto dal Dottor Malatesta che gli propone la virginale sorella Sofronia come sposa. In realtà si tratta di Norina, la bella vedova amata da Ernesto. Tra macchinazioni e situazioni maliziose la beffa va a buon termine col classico lieto fine, «ma - sorride Canessa - con un predominio malinconico sul divertissement che esalta gli intrecci emotivi».


Per questo nuovo allestimento del Verdi - sarà l’età più matura e l’immedesimarsi per prossimità d’anni con questo sessantenne che fa pensare al De Sica innamorato della Bersagliera - ha rivisto, facendo autocritica, la sua prima regia del «Don Pasquale» dove aveva fatto prevalere la parte brillante.
C’è ora ironia e sentimento, un realismo che è quanto mai contemporaneo. Buona la prova attoriale di un cast internazionale con un superbo Roberto Scandiuzzi (Don Pasquale) il basso trevigiano ambasciatore Unicef nel 2007; la seducente Rosa Feola (Norina) giovane protagonista della scena lirica che, con la sua grazia e la sua voce virtuosa, ha conquistato platee e critica; Juan Francisco Gatell (Ernesto), tenore argentino conteso dalla Fenice a Washinton, passando per il Maggio Fiorentino; Sergio Vitale (Dottor Malatesta), baritono casertano, applaudito Figaro al San Carlo; e Luigi Cirillo (Un Notaro), studi al Martucci di Salerno e ben dotato per le parti brillanti. Affiatati, malgrado i ristretti tempi di prove, si muovono come un orologio sui tempi «ballabili» imposti da Canessa e Cappabianca e ritmati dall’andirivieni del coro.
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