Il primo Angelus del 2017 del Papa:
«La pace si costruisce coi fatti“

Il primo Angelus del 2017 del Papa: «La pace si costruisce coi fatti“
Domenica 1 Gennaio 2017, 12:28 - Ultimo agg. 15:27
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La pace si costruisce «dicendo 'no', con i fatti, all'odio e alla violenza e 'sì' alla fraternità e alla riconciliazione». Lo ha detto il Papa al primo Angelus del 2017, alla presenza di 50 mila fedeli, ricordando che «cinquanta anni or sono, il beato Papa Paolo VI iniziò a celebrare in questa data la Giornata Mondiale della Pace, per rafforzare l'impegno comune di costruire un mondo pacifico e fraterno. Nel Messaggio di quest'anno ho proposto di assumere la nonviolenza come stile per una politica di pace».

«Esprimo la mia riconoscenza per tante iniziative di preghiera e di impegno per la pace - ha aggiunto Papa Francesco all'Angelus - che si svolgono in ogni parte del mondo. Ricordo in particolare la marcia nazionale di ieri sera a Bologna, promossa da Cei, Caritas, Azione Cattolica e Pax Christi, con il sostegno della Diocesi e del Comune di Bologna. Saluto i partecipanti alla manifestazione 'Pace in tutte le terrè, promossa dalla Comunità di Sant'Egidio. Grazie per la vostra presenza e la vostra testimonianza!», ha concluso.

«Purtroppo, la violenza ha colpito anche in questa notte di auguri e di speranza. Addolorato sono vicino al popolo turco», ha detto il Papa commentando quanto accaduto stanotte a Istanbul e assicurando le sue preghiere per quanti colpiti. Il Papa ha poi assicurato il suo sostegno «a tutti gli uomini di buona volontà che si adoperano» contro il terrorismo e contro questa «macchia di sangue» che getta ombre e sconforto. 

«Desidero ringraziare il Presidente della Repubblica Italiana per le espressioni augurali che mi ha rivolto ieri sera, durante il suo Messaggio alla Nazione. Ricambio di cuore, invocando la benedizione del Signore sul popolo italiano affinché, con il contributo responsabile e solidale di tutti, possa guardare al futuro con fiducia e speranza».

«L'umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti» e «non c'è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti». Lo ha detto Papa Francesco nell'omelia della messa oggi dedicata alla Madre di Dio. «Nei Vangeli Maria appare come donna di poche parole, senza grandi discorsi né protagonismi - ha sottolineato il pontefice - ma con uno sguardo attento che sa custodire la vita e la missione del suo Figlio e, perciò, di tutto quello che Lui ama». «Maria - ha aggiunto il pontefice - ci ha dato il calore materno, quello che ci avvolge in mezzo alle difficoltà; il calore materno che permette che niente e nessuno spenga in seno alla Chiesa la rivoluzione della tenerezza inaugurata dal suo Figlio. Dove c'è una madre, c'è tenerezza. E Maria con la sua maternità ci mostra che l'umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, ci insegna che non c'è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti».

Occorre uscire dalla «corrosiva malattia della 'orfanezza spirituale', quella orfanezza che l'anima vive quando si sente senza madre e le manca la tenerezza di Dio. Quella orfanezza che viviamo quando si spegne in noi il senso di appartenenza a una famiglia, a un popolo, a una terra, al nostro Dio. Quella orfanezza che trova spazio nel cuore narcisista che sa guardare solo a sé stesso e ai propri interessi e che cresce quando dimentichiamo che la vita è stata un dono, che l'abbiamo ricevuta da altri, e che siamo invitati a condividerla in questa casa comune». Il pontefice ha sottolineato che «un tale atteggiamento di orfanezza spirituale è un cancro che silenziosamente logora e degrada l'anima. E così ci degradiamo a poco a poco, dal momento che nessuno ci appartiene e noi non apparteniamo a nessuno: degrado la terra perché non mi appartiene, degrado gli altri perché non mi appartengono, degrado Dio perché non gli appartengo».

«La perdita dei legami che ci uniscono, tipica della nostra cultura frammentata e divisa, fa sì che cresca questo senso di orfanezza e perciò di grande vuoto e solitudine». E ha rilevato che «l'orfanezza spirituale ci fa perdere la memoria di quello che significa essere figli, essere nipoti, essere genitori, essere nonni, essere amici, essere credenti. Ci fa perdere la memoria del valore del gioco, del canto, del riso, del riposo, della gratuità».

Non siamo oggetti di consumo né merce di scambio ma siamo invitati a prenderci cura gli uni degli altri e insieme della casa comune. «Celebrare la festa della Santa Madre di Dio - ha sottolineato il Papa - ci fa spuntare di nuovo sul viso il sorriso di sentirci popolo, di sentire che ci apparteniamo; di sapere che soltanto dentro una comunità, una famiglia le persone possono trovare il 'climà, il 'calorè che permette di imparare a crescere umanamente e non come meri oggetti invitati a 'consumare ed essere consumatì.

Celebrare la festa della Santa Madre di Dio ci ricorda che non siamo merce di scambio o terminali recettori di informazione. Siamo figli, siamo famiglia, siamo popolo di Dio. Celebrare la Santa Madre di Dio ci spinge a creare e curare spazi comuni che ci diano senso di appartenenza, di radicamento, di farci sentire a casa dentro le nostre città, in comunità che ci uniscano e ci sostengano».

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