Papa Francesco consacra la grandezza di don Zeno Saltini, l'inventore dei «kibbutz» cattolici

Papa Francesco consacra la grandezza di don Zeno Saltini, l'inventore dei «kibbutz» cattolici
di Franca Giansoldati
Giovedì 10 Maggio 2018, 08:56 - Ultimo agg. 11 Maggio, 07:52
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Nomadelfia (Grosseto) - Blitz di Papa Francesco in Toscana per rendere omaggio ai focolarini – il movimento fondato da Chiara Lubich – ma soprattutto per riabilitare il prete rivoluzionario don Zeno Saltini, in passato poco amato dalle gerarchie ecclesiastiche (e dalla politica) degli anni Cinquanta perchè proponeva un modello di vita basata sul Vangelo capace di superare le divisioni ideologiche, democristiane e comuniste, fondando la comunità di Nomadelfia, una specie di kibbutz cattolico dove ancora oggi vivono 200 famiglie condividendo tutto, i guadagni, la crescita dei figli, la gestione degli anziani, la vita quotidiana. Proprio come facevano le prime comunità cristiane che all'inizio, Vangelo alla mano, si avviavano ad evangelizzare il mondo con la predicazione e l'esempio. «Andate avanti così».

Papa Francesco arriva a Nomadelfia attorno alle 8. La prima cosa che fa è andare sulla tomba di don Zeno Saltini, un prete nato a Carpi e morto agli inizi degli anni Ottanta, per mettere sul sepolcro una pietra. Un gesto simbolico che fa dopo aver ascoltato la registrazione di un brano del testamento di Don Zeno Saltini. Uscendo dal cimitero, è passato davanti alle tombe dei primi membri della comunità e poi si è trasferito in auto al Poggetto, il cuore di questa realtà ecclesiale, dove lo aspettano le famiglie, i ragazzi e tante altre persone, compreso il sindaco e il vescovo di Grosseto.

Proprio come è stato con le visite alla tomba di don Milani a Barbiana, di don Mazzolari a Bozzolo, nel mantovano, Papa Francesco vuole rendere omaggio ad un altro sacerdote il cui operato profetico ha aperto orizzonti diversi. La vita di don Zeno è, infatti, un susseguirsi, di slanci, di opere, di azioni concrete di fronte alle sofferenze di bambini orfani che aveva lasciato l'immediato dopoguerra, di giovani segnati dal disagio. In quella circostanza don Zeno comprese che l’unico linguaggio che essi comprendevano era quello dell’amore individuando una particolare forma di società dove non c’era spazio per l’isolamento o la solitudine, la nasceva una forma di collaborazione di stampo collettivistico tra diverse famiglie, dove i membri si riconoscevano però come fratelli nella fede. A Nomadelfia si stabilirono legami ben più solidi di quelli della parentela secondo le parole di Cristo: «Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,35). Questo speciale vincolo di consanguineità e di familiarità, è ancora oggi manifestato dai rapporti reciproci tra le persone: tutti si chiamano per nome, mai con il cognome, e nei rapporti quotidiani si usa il confidenziale tu.

 

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