Bagnasco: flessibilità da rivedere
ai giovani va dato un lavoro stabile

Bagnasco: flessibilità da rivedere ai giovani va dato un lavoro stabile
di Pietro Perone
Giovedì 9 Febbraio 2017, 22:56 - Ultimo agg. 10 Febbraio, 17:01
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 Era il 1982 quando i vescovi campani, e poi dell’intero Mezzogiorno, decisero di scendere in campo dopo aver diffuso una lettera intitolata «per amore del mio popolo non tacerò». L’emergenza in quei sanguinosi anni Ottanta era la forza penetrante nelle mafie nel tessuto sociale, un cappio che la Chiesa provò a rompere facendo rete soprattutto con i giovani, le associazioni, i sindacati e settori del mondo imprenditoriale. Ieri come oggi, i vescovi del Sud rilanciano il grido di dolore di un Meridione piegato, lo fanno da Napoli con il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco.
 

Una due giorni dedicata al Mezzogiorno in cui le istituzioni e la politica sono state chiamate a dare risposte affinché un pezzo del Paese possa ritrovare la speranza. Il cardinale Bagnasco parla con Il Mattino al termine della messa con i vescovi di Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna celebrata nella basilica San Francesco di Paola in piazza Plebiscito. Omelia con al centro i giovani, quelli che nel Mezzogiorno sono sempre più ai margini: «Non lasciate che qualcuno uccida la speranza dei vostri cuori, ma non sarete soli perché con voi ci saranno i pastori della Chiesa», assicura Bagnasco dall’altare.

Il Sud, in un’Europa a due velocità come immagina Angela Merkel, rischia di perdere definitivamente la battaglia dello sviluppo?
«La preoccupazione rispetto all’Europa è che il cammino dell’Unione si inceppi e comunque rallenti eccessivamente. La questione delle due velocità è realistica? Non so, ma sicuramente se il cammino rallenta troppo, o peggio si ferma, non è un bene per il continente né per il resto del mondo. Abbiamo una grande missione da donare agli altri e non si tratta di un neo eurocentrismo che fra l’altro non esiste più. Va semplicemente riconosciuto che ogni continente, ogni Paese hanno un dono, una peculiarità da offrire a tutti».


L’Ue resta però un sogno incompiuto a partire dall’unità politica invano inseguita. È questo il punto di debolezza estrema di Bruxelles?
«Manca soprattutto l’unità spirituale perché quella politica pian piano si sta costruendo, seppur con grande fatica che diventa maggiore in quanto non vengono riconosciuti una base ideale comune, valori spirituali e quindi etici condivisi».

Il Papa nell’intervista rilasciata a Civiltà cattolica fa riferimento al profeta Gioele: “Gli anziani avranno sogni e i giovani profetizzeranno”. Nel Mezzogiorno, invece, a intere generazioni viene negato il futuro, giovani senza lavoro e dunque senza speranza. C’è un deficit dell’intera classe politica italiana rispetto al dramma che si sta consumando ormai da decenni?
«È facile rispondere che le istituzioni hanno delle grandi responsabilità, però non è solo questo. Sono sempre più convinto, vedendo in questi giorni la città di Napoli nel suo splendore e nella sua bellezza di arte, di cultura e di fede, che il riscatto deve venire anche dal popolo che si fa operoso perché si mette insieme. Uniti nel pensare, sognare, progettare e tentare vie virtuose di occupazione e presenza nella società. Questo è possibile e la Chiesa che vive accanto alla gente, ai giovani è a disposizione per portare il suo contributo di collante, di forza spirituale affinché i giovani diano vita a reti virtuose. Se le faranno, contamineranno la società intera e potranno opporsi a presenze oscure che profittano della giovinezza e dell’inesperienza. Il contagio spingerà anche i politici, gli amministratori a fare di più».

C’è però anche un deficit di investimenti, finanche in settori vitali come la salute. Avrà visto i malati adagiati per terra nel pronto soccorso di Nola dove mancavano finanche barelle. Inadempienze amministrative e politiche stratificate nel tempo. La Chiesa prova a fare la propria parte, ma gli altri la fanno?
«Bisogna che le istituzioni politiche e burocratiche facciano molto di più con intelligenza rivolta al futuro e non alla ricerca del consenso. L’obiettivo deve essere il bene del Paese. C’è bisogno poi di onestà generalizzata perché non basta fare le leggi, ma bisogna applicarle con rigore e sacrificio. Occorre fare incontrare le due cose: provvedimenti buoni, ed è questo il compito del Parlamento; poi le norme bisogna applicarle e questo tocca anche a tutti noi operare con intelligenza ed onestà senza approfittarne».

C’è qualche legge in Italia che va rivista?
«Ho parlato qualche volta di flessibilità che è una parola oggi molto di moda. Non sono un esperto, ma mi sono chiesto, e me lo chiedo tuttora, se la categoria della flessibilità non sia sinonimo di precariato continuo. Non si può avere un lavoro precario, flessibile, l’occupazione deve essere sufficientemente sicura in modo che un giovane possa farsi una vita, avere una famiglia come in tanti desiderano. La flessibilità va rivista anche perché chi parla di questo argomento non ha un lavoro flessibile bensì stabile».

Il Sud in questi decenni è diventato anche sinonimo di emergenza ambientale, una battaglia che vede la Chiesa in prima linea in molte zone del Mezzogiorno, soprattutto nella Terra dei fuochi. Dall’osservatorio della Cei ritiene che passi in avanti sono stati compiuti?
«È un problema tuttora aperto su cui non può calare il silenzio perché ci sono ripercussioni gravi sulla salute, dei bambini in modo particolare. Le istituzioni hanno delle gravi responsabilità a cui non si possono sottrarre in nessun modo, ma senza la collaborazione del popolo le istituzioni potranno fare ben poco».

Il Papa, rispetto ai problemi interni della Chiesa, si affida ai bigliettini a San Giuseppe che lascia sul comodino. Lei che guida la Conferenza episcopale italiana come si regola? È stato costretto a lasciare molti bigliettini negli ultimi tempi?
«Lo faccio anche io, un gesto antico che si tramanda di generazione in generazione. San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, è Santo di grande provvidenza. Sì certo, ognuno ha i suoi biglietti da lasciare: per la diocesi, il lavoro, la gente, i giovani, le vocazioni, il sacerdozio e la vita consacrata. Ce ne sono tanti di pensieri da lasciare e io li lascio».

Crede che ne lascerà meno nel futuro?
«Chi può dirlo, i problemi nascono ogni giorno, magari cambiano, ma fanno parte della vita sia personale che sociale».
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