Pd, lo scontro è rinviato ma è tensione sui gruppi

Pd, lo scontro è rinviato ma è tensione sui gruppi
di Barbara Acquaviti e Diodato Pirone
Domenica 11 Marzo 2018, 10:22
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Una mina disinnescata. La Direzione in programma per domani non sarà il terreno su cui si giocherà la resa dei conti in casa dem. Ma non di vera tregua si tratterà, perché la battaglia potrebbe spostarsi sulle prossime mosse parlamentari, a cominciare dalle presidenze dei gruppi.

Il canovaccio non dovrebbe riservare sorprese: ufficializzate le dimissioni di Matteo Renzi da segretario, Maurizio Martina, in quanto vice, assumerà la reggenza del partito. La vera sorpresa potrebbe essere proprio la presenza del numero uno uscente, che sarebbe molto tentato dal partecipare. Un modo, di fatto, per marcare il territorio.
La linea che traccerà Martina sarà quella di un Pd che sta all'opposizione, perché l'onere di dare vita a un governo è nelle mani di chi queste elezioni le ha vinte: M5s e Lega. Premesse su cui concordano anche Dario Franceschini e Andrea Orlando. Mentre la corrente che fa capo a Michele Emiliano, che a un accordo con i pentastellati aveva aperto, si riunirà domani mattina per fare il punto.

I NODI
Il nodo della gestione del partito sarà rinviato all'assemblea nazionale che verrà convocata ad aprile. Da quello step in poi, però, la road map si fa meno definita. E' possibile che il parlamentino elegga un segretario che resti in carica fino al 2021 o anche che si decida di avviare un percorso che, come fu per Epifani, porti a individuare un traghettatore che conduca a elezioni primarie, e dunque al congresso, già il prossimo anno. Per questa soluzione spinge il governatore della Puglia, il quale, peraltro, non esclude di presentarsi. Così come ha già annunciato che farà il neo rieletto presidente del Lazio, Nicola Zingaretti. Nonostante le smentite del diretto interessato, si guarda anche a Carlo Calenda.

Il nome più forte in pista, soprattutto nel caso si dovesse optare per la strada che esclude le primarie, è però quello di Graziano Delrio. Un profilo che troverebbe d'accordo le minoranze, essendo ormai il ministro dei Trasporti considerato sganciato dall'ex segretario. Anche se l'area Orlando punta su Zingaretti. «La priorità in questo momento per il Pd - spiega Sergio Chiamparino intervistato da Maria Latella - è trovare una gestione collegiale e unitaria, le divisioni che si sono verificate fino ad oggi sono una delle cause della sconfitta elettorale». Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, è stato polemico con la candidatura di Zingaretti alle primarie: «I mandati si portano a termine».

Nelle minoranze, comunque, sono convinti che l'apparente distacco dell'ex-segretario verso il partito nasconda una precisa strategia. «Renzi - spiega un esponente dell'area di Orlando - considera ormai il Pd la bad company e i gruppi parlamentari la good company perché è da lì che passeranno tutte le prossime mosse». Dario Ginefra, deputato uscente vicino a Emiliano, lo dice esplicitamente. «Non ci sfugge che le modalità con le quali sono stati definiti da Renzi i nuovi gruppi parlamentari lascia a lui un enorme potere decisionale che va oltre ogni formale decisione di dimettersi dalla segreteria».

Il sospetto è che possa provare a serrare i ranghi prima che il numero dei parlamentari su cui può contare all'interno dei gruppi si riduca. Maria Elena Boschi in una nota ha negato di essersi dedicata anima e corpo nelle ultime ore a questa operazione. Prima della Direzione, tuttavia, i renziani di stretta osservanza avrebbero in programma una riunione. Chi fa i conti in casa Franceschini calcola, però, che al Senato l'ex premier sia già andato in minoranza, controllando non più di 25 parlamentari. Anche per questo, come possibili capigruppo spuntano due nomi che potrebbero essere considerati di mediazione: Lorenzo Guerini alla Camera e Teresa Bellanova a palazzo Madama.
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